Torre Del Greco (Campania) 29 agosto 2015

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 febbraio 2015, n. 5929

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza in data 8.7.2013 il Tribunale di Napoli rigettava la richiesta di riesame, proposta nell’interesse di F.B. avverso il decreto di sequestro preventivo emesso il 3.6.2013 dal GIP del tribunale di Torre Annunziata.

Preliminarmente il Tribunale riteneva infondata l’eccezione, sollevata dalla difesa, di nullità del decreto di sequestro per mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza del fumus commissi delicti. Dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità in tema di motivazione per relationem, assumeva il Tribunale che il GIP, sia nella premessa relativa alle contestazioni che nella indicazione dei beni da sottoporre a sequestro, aveva valutato, facendoli propri, gli elementi addotti nella richiesta di sequestro avanzata dal P.M.

Quanto al fumus dei reati contestati (artt. 3 e 4 D.L.vo 74/2000), i Giudici del riesame richiamavano innanzitutto l’analisi contenuta nel decreto di sequestro fondata sulle indagini svolte dall’Agenzia delle Entrate di Napoli-Ufficio Antifrode.

Tali indagini avevano consentito di accertare una complessa operazione fraudolenta che aveva comportato l’omessa Indicazione, nelle dichiarazioni relative agli anni 2007 e 2008, di elementi attivi consistiti nella percezione di dividendi relativi alla partecipazione Indiretta degli indagati M., A. e P.D. alla società C. srl”.

Rilevava il tribunale che in data 23.10.2012 era stato costituito il “Trust F. (i beni sequestrati appartenevano ad una società facente parte del trust) e che dall’esame dello stesso atto istitutivo emergeva lo svuotamento del poteri del Trustee, che, per determinati atti gestionali, era subordinato al parere vincolante del Guardiano (ruolo ricoperto dal D.).

Inoltre, dalle indagini svolte dalla G.d.F, in altro procedimento (n. 11529/2011 RGNR), emergeva che i fratelli D. avevano, di fatto, amministrato e gestito i beni del Trust F.

secondo il Tribunale, quindi, i dividendi distribuiti nel triennio 2006-2008 dalla società C. srl avevano quali beneficiari effettivi i fratelli D. (ai quali, secondo i rilievi in precedenza svolti, era riferibile il Trust F.)

Quanto al fumus del reato di cui all’art. 3 D.L.vo 74/2000, rilevava il Tribunale che in data 24.9.2007 veniva concluso tra la C. srl (società mutuataria, detta anche residente o borrower) e la D.C. sro” (società mutuante, detta anche tender) il contratto di stock lending agreement) avente ad oggetto il prestito di n. 14.300 azioni della società portoghese denominata “G.”, Si trattava, secondo il Tribunale, di una complessa operazione fraudolenta che aveva portato all’indicazione nel modello Unico 2008 di elementi attivi, inferiori a quelli effettivi con un’evasione di imposta superiore ai 5 milioni di euro.

Dall’esame del contenuto del contratto emergeva, infatti, la fittizietà dell’operazione. Si era in presenza quindi di una simulazione contrattuale e cioè di un mezzo fraudolento idoneo ad ostacolare l’accertamento della falsa rappresentazione delle scritture contabili.

Nel disattendere i rilievi difensivi (fondati sulla allegazione di provvedimenti giudiziari che avevano escluso la rilevanza penale del contratto di stock lending), assumeva il Tribunale che il contratto concluso dalla C. srl, per le condizioni espressamente indicate nel processo verbale di constatazione, era a carattere simulato e quindi sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 3 D.L.vo 74/2000.

Riteneva poi il Tribunale che i beni oggetto del sequestro (appartenenti alla società “M. srl”, di cui il R. era legale rappresentante, la quale aveva rilevato la C. srl e faceva parte del Trust F.) fossero nella disponibilità degli indagati e che, trattandosi di sequestro per equivalente, si prescindesse dal nesso di pertinenzialità.

Anche sul punto andavano disattesi i rilievi difensivi (secondo cui i beni non erano sequestrabili, essendo nella titolarità del Trust F.) in quanto i beni confluiti nel Trust non godevano della segregazione richiesta, avendo i fratelli P. continuato ad esercitare sugli stessi i poteri del pieno proprietario. E, secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. 5 n.13276 del 24.1.2011), i beni conferiti in un trust possono essere sequestrati quando ci si trovi in presenza di situazione di mera apparenza per avere il conferente conservata l’amministrazione e la piena disponibilità degli stessi.

2. Ricorre per cassazione F.B., nella qualità di legale rappresentante della ” M. srl”, società cui sono stati sequestrati i beni o, comunque, avente diritto alla loro restituzione.

Dopo aver richiamato la motivazione dell’ordinanza impugnata, denuncia con il primo motivo la violazione dell’art. 321 cod.proc.pen., non avendo il GIP motivato il provvedimento di sequestro preventivo. Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, il GIP non ha rispettato i limiti e le condizioni indicati dalla giurisprudenza della Corte di cassazione per considerare legittima la motivazione per relationem. Si è limitato, infatti, a riportare il contenuto della domanda cautelare, senza alcuna valutazione autonoma in ordine alla condivisibilità della stessa. Né la carenza di motivazione del decreto del GIP è stata integrata dal Tribunale.

Con il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 321 cod.proc.pen. e 322 ter cod.pen., non sussistendo il fumus del reato di cui all’art.3 D.L.vo 74/2000.

Il Tribunale si è limitato a rinviare sul punto al decreto di sequestro senza fornire alcuna spiegazione in ordine al presunto illecito risparmio di imposta e non ha tenuto conto che, a norma dell’art. 89 comma 2 TUIR i dividendi distribuiti ai soci italiani sono esclusi dalla tassazione per il 95%.

Peraltro anche a voler ritenere l’operazione di stok lending, finalizzata, secondo il Tribunale, in assenza di valide ragioni economiche, soltanto a consentire alla “C srl” di aggirare gli obblighi tributari, essa si risolverebbe in una condotta elusiva sanzionabile soltanto amministrativamente dell’art. 37 bis DPR 600/73.

Né il Tribunale ha motivato in ordine alla sussistenza del dolo di evasione, pur avendo la difesa dimostrato che la C. srl aveva acquisito le stok lending, essendo stato il prodotto collocato sul mercato dalla banca olandese Fortis, di proprietà del governo olandese, e che era stata mossa da un obiettivo di carattere economico, a prescindere dal vantaggio fiscale che avrebbe potuto eventualmente ottenere.

Con il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 322 ter c.p., non essendo i beni sequestrati nella disponibilità degli indagati.

Contrariamente a quanto affermato dal Tribunale non vi è prova che i beni segregati nel Trust F (tra i quali anche all’immobili sequestrati alla M. srl) si trovino nella disponibilità degli indagati D.

Pur a voler ritenere (ma non vi è alcun elemento In tal senso) che questi ultimi fossero amministratori di fatto del trust, non si sarebbe potuto procedere al sequestro (occorreva dimostrare Infatti che essi fossero titolari del trust e quindi dei beni in esso segregati).

In ogni caso i beni segregati nel trust sono “vincolati” ed il patrimonio personale del trustee (di diritto o di fatto) è separato da quello del trust.

Quanto agli elementi derivanti dalle indagini compiute in altro procedimento (n.11529/2011 RGNR), le dichiarazioni testimoniali cui fa riferimento il Tribunale non consentono di ritenere che gli indagati D. abbiano compiuto atti di disposizione in relazione alle società

segregate del trust tali da far presumere che i medesimi ne siano gli effettivi titolari.

Infine, in ordine al rilievo difensivo fondato sul p.v. di contestazione del 13.12.2011 (l’Agenzia delle Entrate aveva Ipotizzato la violazione dell’art. 5 D.L.vo 74/2000 al solo Trust F. e non anche agli indagati D. l’assunto del Tribunale, secondo cui gli accertatori non avevano potuto disporre delle indagini compiute nel procedimento n.11529/11 RGNR, è vanificato dalla irrilevanza, come si è visto, delle dichiarazioni testimoniali.

2.1. Con motivi nuovi, in data 5.11.2014, a sostegno di terzo motivo di ricorso, si deduce che il Tribunale ha disatteso il dictum delle Sezioni Unite (sent.n. 10651 del 5.3.2014), non essendo stato il sequestro preceduto né dalla verifica dell’impossibilità di sequestrare il profitto diretto nel patrimonio della C. srl, né dalla verifica della fittizietà della medesima società.

Non essendo stata effettuata alcuna di tali verifiche, il provvedimento va annullato senza rinvio.

L’elusione del principio statuito dalle Sezioni Unite risulta ancora più evidente, in quanto il sequestro è stato disposto in ordine a beni immobili della M. srl, estranea ai reati.

Anche a voler accedere alla ipotesi accusatoria (e cioè della riconducibilità agli indagati della M., disponendo essi del TRUST- F. che controlla la predetta società), i beni sequestrati costituiscono patrimonio della M. e non degli indagati, ai quali sono riconducibili le quote di partecipazione (in quanto ritenuti titolari di fatto del Trust F.) nella M.

Il Tribunale, confondendo tra beni patrimoniali e quote di partecipazione ha distorto le finalità della misura, colpendo i creditori della M.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.

2. Quanto al primo motivo, va ricordato che, a norma dell’art. 309, comma nono, cod.proc.pen. (richiamato dall’art. 324, comma settimo) “il Tribunale può annullare il provvedimento impugnato o riformarto in senso favorevole all’imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati ovvero può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso”.

E, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il potere-dovere attribuito al giudice del riesame dall’art. 309, comma nono, ultima parte, cod.proc. pen., di confermare le ordinanze impugnate “per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso” non è esercitarle solo quando la motivazione di quest’ultimo sia radicalmente assente o meramente apparente, dovendo in tali ipotesi, essere rilevata la nullità del provvedimento impugnato per violazione di legge (Cass.pen. sez. 2 n. 12537 del 4.12.2013), E’ Illegittima, pertanto, l’ordinanza con cui il Tribunale, In sede di riesame del sequestro preventivo disposto su conforme richiesta del pubblico ministero ai sensi del primo comma dell’art. 321 cod.proc.pen., confermi la misura cautelare reale per finalità del tutto diverse, atteso che in tal modo lo stesso non si limita – come è nel suo potere – ad integrare la motivazione del decreto impugnato, ma sostanzialmente adotta un diverso provvedimento di sequestro in pregiudizio del diritto al contraddittorio dell’interessato” (cass. sez. 6 n.30109 del 12.7.2012).

2.1. Il Tribunale ha fatto corretta applicazione di tali principi, rilevando, da un lato, che il GIP legittimamente aveva motivato per relationem il provvedimento di sequestro, avendo dimostrato di aver valutato gli elementi addotti dal P.M., facendoli propri e ritenendoli coerenti con la propria decisione, e, dall’altro, ha integrato la motivazione del provvedimento impugnato argomentando ampiamente in ordine al fumus dei reati ipotizzati.

2.2. Quanto ai poteri del Tribunale del riesame, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. in particolare sez. unite 29.1.1997, ric. P.M. In proc.Bassi) nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro, non è ipotizzabile una “piena cognitio” del Tribunale, al quale è conferita esclusivamente la competenza a conoscere della legittimità dell’esercizio della funzione processuale attribuita alla misura ed a verificare, quindi, la correttezza del perseguimento degli obiettivi endoprocessuali che sono propri della stessa, con l’assenza di ogni potere conoscitivo circa il fondamento dell’accusa, potere questo riservato al giudice del procedimento principale. Tale Interpretazione limitativa della cognizione incidentale risponde all’esigenza di far fronte al pericolo di utilizzare surrettiziamente la relativa procedura per un preventivo accertamento sul “meritum causae”, così da determinare una non consentita preventiva verifica della fondatezza dell’accusa il cui oggetto finirebbe per compromettere la rigida attribuzione di competenze nell’ambito di un medesimo procedimento.

L’accertamento, quindi, della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono – in una prospettiva di ragionevole probabilità – di sussumere l’ipotesi formulata n quella tipica. Il Tribunale del riesame non deve, pertanto, instaurare un processo nel processo, ma svolgere l’indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro (ex multis Cass.pen.sez.,3 n.40189 del 2006 – ric.Di Luggo).

Il controllo non può, però, limitarsi ad una verifica meramente burocratica della riconducibilità in astratto del fatto indicato dall’accusa alla fattispecie criminosa, ma deve essere svolto attraverso la valutazione dell’antigiuridicità penale del fatto come contestato, ma tenendosi conto, nell’accertamento del “fumus commissi delicti”, degli elementi dedotti dall’accusa risultanti dagli atti processuali e delle relative contestazioni difensive.

E’ necessario, quindi, che il Tribunale del riesame, ai fini della configurabilità del fumus del reato, prenda in considerazione tutti gli elementi rappresentati dalle parti.

2.2.1. Tanto ha fatto il Tribunale, che, dopo aver richiamato ed integrato la motivazione del provvedimento di sequestro, ha esaminato, disattendendoli, con motivazione pertinente ed adeguata, oltre che corretta in diritto, tutti i rilievi difensivi (pag.7 e ss. Ord.).

Dopo avere effettuato una puntuale analisi del “Trust F.”> ha accertato che i poteri, conferiti ai guardiani (rappresentati dagli indagati) inficiavano la segregazione dei beni. Dall’atto istitutivo emergeva, Infatti, lo svuotamento di poteri del Trustee, che, per determinati atti gestionali, era subordinato al parere vincolante del Guardiani, (pag.13 ord,).

Gli indagati D avevano, quindi, di fatto gestito e amministrato i beni del “Trust F.”

Sicché i dividendi distribuiti negli anni 2006-2008 dalla società “C. srl” (pari ad otto milioni di euro) avevano come beneficiari effettivi i fratelli D. sui quali conseguentemente gravava l’onere dichiarativo (non assolto).

Quanto al contratto di stok lending agreement, concluso il 24.9,2007, che aveva portato, attraverso l’indicazione nel mod.Unico 2008 di elementi attivi inferiori a quelli effettivi, ad un’evasione di imposta superiore al 5 milioni dì euro, ha accertato il Tribunale la natura simulata del contratto in questione (pag.18-19 ord.), per cui ci si trovava In presenza di un “mezzo fraudolento idoneo ad ostacolare l’accertamento della falsa rappresentazione delle scritture contabili”, integrante quindi l’elemento costitutivo del reato di cui all’art. 3 D.l.vo 74/2000.

2.2.2. Il ricorrente ripropone con il ricorso questioni già correttamente disattese, in punto di diritto, dal Tribunale oppure censura sostanzialmente la motivazione con cui i Giudici del riesame hanno ritenuto sussistente il fumus dei reati ipotizzati.

Ma, a norma dell’art. 325 c.p.p., il ricorso per cassazione può essere proposto soltanto per violazione di legge.

Secondo le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 2/2004, Terrazzi), nel concetto di violazione di legge può comprendersi la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l’art. 125 c.p.p., che impone la motivazione anche per le ordinanze, ma non la manifesta illogicità della motivazione, che è prevista come autonomo mezzo di annullamento dall’art. 606 lett.e) c.p.p., né tantomeno il travisamento del fatto non risultante dal testo del provvedimento.

Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi dalle stesse Sezioni Unite, con la sentenza n. 25932 del 29.5.2008-Ivanov, secondo cui nella violazione di legge debbono intendersi compresi sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonee a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.

2.2.3. Quanto poi all’assunto che l’operazione di stock lending, conclusa dalla società “C. srl” si risolverebbe, in ogni caso, in una mera condotta elusiva sanzionabile amministrativamente dall’art. 37-bis DPR 600/73, anche a voler prescindere dal fatto che, come si è visto, stante il carattere simulato della stessa, risulta integrato l’elemento costitutivo del reato di cui all’art. 3 cit.), con la sentenza di questa Sezione n. 19100 del 6.3.2013 è stato riaffermato che, sotto il profilo penale, vengono in rilievo anche “comportamenti elusivi posti in essere dal contribuente per trarre vantaggi dall’utilizzo in modo distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale in mancanza di ragioni economicamente apprezzabili che possano giustificare l’operazione” (cfr. anche Cass.pen. Sez. 2 22.11.2011 n.7739; Cass. Sez. 3 n. 6723 del 18.3.2011 e Cass. Sez. 3 n. 29724 del 26.5. 2010).

Laddove, invero, il comportamento elusivo contrasti con specifiche disposizioni, risulta salvaguardato anche il principio di legalità. E specifiche norme antielusive sono rinvenibili negli artt. 37 co. 3 DPR n. 600/1973 (“In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari dei soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”) e 37 bis DPR n. 600/1973 (“Sono inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti (comma 1). L’amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui al comma 1, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all’amministrazione (comma 2). Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano a condizione che, nell’ambito, del comportamento di cui al comma 2, siano utilizzate una o più delle seguenti operazioni: a) trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del patrimonio netto diverso da quelle formate con utili; b) conferimenti In società, nonché negozi aventi ad oggetto il trasferimento o il godimento di aziende; c) cessioni di credito…”comma 3).

3. Quanto infine alla disponibilità dei beni sottoposti a sequestro il Tribunale ha adeguatamente argomentato in ordine alla disponibilità degli stessi da parte degli indagati, in quanto i beni confluiti nel “Trust F.” non godevano della segregazione richiesta dall’istituto del trust.

Ha accertato, quindi, che gli Indagati D. continuavano ad esercitare su detti beni, benché formalmente confluiti nel trust, i poteri del pieno proprietario, gestendoli ed amministrandoli.

E, come affermato reiteratamente da questa Corte, ai fini del sequestro preventivo, funzionale alla confisca di cui all’art. 322 ter cod. pen., non occorre provare il nesso di pertinenzialità della res rispetto al reato, essendo assoggettabili a confisca beni nella disponibilità dell’indagato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato (cfr. ex multis Cass. sez. 6 n. 11902 del 27.1.2005). Il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può ricadere quindi su beni comunque, nella disponibilità dell’indagato. Sulla nozione di “disponibilità”, però, non sempre le decisioni sono univoche. Con la sentenza di questa Sezione 3 n.15210 dell’8.2.2012 è stato confermato il principio già enunciato dalla sentenza della sez. 1 n. 11732 del 9.3.2005, secondo cui per “disponibilità” deve intendersi la relazione effettuale del condannato con il bene, connotata dall’esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà. “La disponibilità coincide, pertanto,con la signoria di fatto sulla res indipendentemente dalle categorie delineate dal diritto privato, riguardo al quale II richiamo più appropriato sembra essere quello riferito al possesso nelle definizioni che ne dà l’art. 1140 cod. civ. Non è necessario, quindi, che i beni siano nella titolarità del soggetto indagato o condannato, essendo necessario e sufficiente che egli abbia un potere di fatto sui beni medesimi e quindi la disponibilità degli stessi. Ovviamente tale potere di fatto può essere esercitato direttamente o a mezzo di altri soggetti, che a loro volta, possono detenere la cosa nel proprio interesse (detenzione qualificata) o nell’interesse altrui (detenzione non qualificata). Sicché la nozione di disponibilità non può essere limitata alla mera relazione naturalistica o di fatto con II bene, ma va estesa, al pari della nozione civilistica del possesso, a tutte quelle situazioni nelle quali il bene stesso ricada nella sfera degli interessi economici del prevenuto, ancorché il medesimo eserciti il proprio potere su di esso per il tramite di altri (cfr. Cass. pen. sez. 1, n. 6813 del 17.1.2008). Viene, cioè, in rilievo e legittima il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente la interposizione fittizia, vale a dire quella situazione in cui il bene, pur formalmente intestato a terzi, sia nella disponibilità effettiva dell’indagato o condannato. Si è così ritenuto che, ai fini dell’operatività della confisca per equivalente prevista dall’art. 322 ter cod. pen. e, di riflesso, della possibilità di adozione di un provvedimento di sequestro preventivo dei beni che possono formarne oggetto, il requisito costituito dalla disponibilità di tali beni da parte del reo non viene meno nel caso di intervenuta cessione dei medesimi ad un terzo con patto fiduciario di retrovendita (Cass. pen. sez. 2 n. 10838 del 20.12.2006); che le somme di denaro, depositate su conto corrente bancario cointestato con un soggetto estraneo al reato, sono soggette a sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, in quanto quest’ultimo si estende ai beni comunque nella disponibilità dell’indagato, non ostandovi le limitazioni provenienti da vincoli o presunzioni operanti, in forza della normativa civilistica, nel rapporto di solidarietà tra creditori e debitori (art. 1289 c.c.) o nel rapporto tra istituto bancario e soggetto depositante (art. 1834 c.c.) Cass. pen. sez. 3 n. 45353 del 19.10.2011); che il sequestro può riguardare anche un bene in comproprietà tra l’indagato ed un terzo estraneo (Cass. sez. 3 n. 6894 del 27.1.2011) o un bene facente parte del fondo patrimoniale familiare (Cass. sez. 3 n. 18527 del 3.2.2011).

In relazione più specificamente ai beni conferiti in “trust” è stato più volte affermato che essi sono assoggettabili a sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, quando i beni In questione siano nella disponibilità dell’indagato che continui ad amministrarli conservandone la piena disponibilità (cfr. tra le altre Cass.pen. sez. 5 n.13276 del 24.1.2011, Rv, 249838).

Va, infine, rilevato che, trattandosi di beni (anche se formalmente intestati a società “terza”) di cui gli indagati, per le ragioni in precedenza esposte, avevano la piena disponibilità, non trova applicazione il dictum della sentenza delle Sezioni Unite n. 10561 del 30.1.2014.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.