A seguito del Convegno dello scorso 27 settembre presso la Camera Dei Deputtai , Sala Aldo Moro, si è tenuto un tavolo istituzionale sull esfide nell’Europa di oggi. Tra le diverse priorità , sicuramente l’Europa come soggetto geo-politico del diritto internazionale dovrà confrontarsi con la tutela dell’identità culturale e religiosa.
A tal proposito occorre specificare le seguenti riflessioni storico – giuridiche, curate dall’Avv. Federico Ferraro, relatore al convegno e responsabile nazionale giovanile della Consolidal ETS ( Ex lege 117/2017).
Nell’ambito dei diritti umani vi è una particolare libertà che non è mai stata riconosciuta tra i diritti fondamentali, poichè non è mai stata oggetto di apposita Convenzione internazionale: si tratta della libertà di religione. La mancata inclusione della libertà religiosa tra i diritti fondamentali dipende, infatti, dalle notevoli divergenze socio culturali fra i vari Stati e ciò spesso rende difficile trovare un punto d’accordo internazionale. Va considerato, infatti, che numerosi Stati, anche per tradizione culturale, sono estremamente riluttanti a riconoscere o concedere una protezione internazionale a tale libertà. In questo contesto è stato impossibile definire tale diritto all’interno di un trattato O.N.U.
È in considerazione di quanto detto che oggi la tutela della libertà di religione si ritrova in una pluralità di disposizioni contenute all’interno delle singole Convenzioni sui diritti dell’uomo. Si tratta, comunque, di disposizioni che non pervengono ad una soluzione circa il significato del diritto alla libertà di religione, pertanto, al momento, è demandato all’interprete il compito di stabilire, alla luce delle varie disposizioni, il contenuto di tale diritto e i limiti a cui esso è assoggettabile.
La libertà di professare un determinato culto, compresa l’appartenenza o la non appartenenza ad una determinata religione, è da sempre stata un’esigenza avvertita dall’uomo, tant’è che è possibile affermare che la stessa, nel suo nucleo essenziale, appartiene al patrimonio “genetico” di ogni individuo. È per questo motivo che molti ordinamenti, compreso quello italiano, hanno da sempre riconosciuto tale diritto all’interno del proprio impianto normativo e costituzionale. Tale esigenza è stata avvertita anche a livello internazionale, tant’ è che , in tale ambito, troviamo degli appositi trattati che, espressamente, riconoscono il diritto di libertà religiosa, prevedendo anche apposite norme sulla sua valorizzazione e tutela, condannando , conseguentemente, ogni fenomeno lesivo di tale libertà.
In questa prospettiva va sottolineato che, a livello internazionale, esiste già una lunga tradizione in ordine al riconoscimento della libertà religiosa. Infatti, già nel XVI secolo possiamo ritrovare i primi atti volti alla tutela dell’identità religiosa che, a fianco delle altre libertà, garantivano la tolleranza tra le varie credenze religiose. È in questa fase che attraverso lo strumento dei Trattati o delle Convenzioni , venne affermato il diritto dei cittadini, anche se appartenenti a un diversa credenza religiosa, di professare liberamente la propria religione all’interno dello Stato. Va, tuttavia detto che malgrado le timide aperture verso un riconoscimento della libertà di religione, nel complesso, le esperienze ordinamentali dell’Europa del XVI-XX secolo, sono quasi tutte contraddistinte dal riconoscimento di un’unica religione di Stato, secondo il noto principio internazionale cuius regio eius religio, sancito dopo la pace di Vestfalia del 1648.
È solo dopo la fine della seconda guerra mondiale che venne sentita l’esigenza di costituire un sistema universale di protezione dei diritti dell’uomo , che fosse contemporaneamente una tutela per l’individuo ed un limite all’arbitrio dei singoli Stati.
Un primo tentativo di offrire una tutela internazionale per i diritti umani si è avuto con l’inserimento di una norma ad hoc nello Statuto delle Nazioni Unite, anche se tale intento si è poi concluso con un generico richiamo negli artt. 55 e 56 del predetto Statuto.
La libertà religiosa , invece, compare per la prima volta in ambito internazionale nell’art. 2 § 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 10 dicembre 1948 , in forza della quale è stata riconosciuta ad ogni individuo la libertà di autodeterminazione, la pari dignità sociale e la eguale tutela legale, senza distinzione di razza, colore, lingua o religione .
Il riconoscimento della libertà religiosa nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani rappresenta, quindi, un pieno riconoscimento della libertà religiosa quale libertà di coscienza e di autodeterminazione. L’importanza di tale riconoscimento, seguito dopo un lungo e travagliato dibattito, ha condotto all’affermazione della libertà religiosa sia in positivo, con la possibilità di professare liberamente il proprio credo, sia come libertà negativa, che si esprime nella possibilità di non professare alcuna religione (come nel caso dell’ ateismo); tale libertà si estende fino al diritto di cambiare persino il credo di origine.
La libertà religiosa è stata oggetto anche di Convenzioni stipulate da organizzazioni regionali, quali la Convenzione Europea per i Diritti Umani ( C.E.D.U.) firmata a Roma il 4 novembre del 1950.
L’ articolo 9 prevede che nella libertà di pensiero, coscienza e religione siano comprese convinzioni anche non confessionali, quali l’ateismo, l’agnosticismo, il razionalismo , il pacifismo, considerate tutte filosofie di vita e, dunque, rientranti nel concetto di belief (credenza).
In ultimo si ricorda in materia la Convenzione Interamericana dei Diritti dell’Uomo, firmata a S.José di Costarica , il 22 novembre 1969, ed entrata in vigore il 18 luglio dello stesso anno.
Bisogna sottolineare che tale diritto incontra comunque dei limiti , ravvisabili nell’ordine pubblico, sicurezza, salute e moralità pubblica.