Appare come una violenta aggressione la dichiarazione di guerra al Venezuela, quella insita nel discorso che Barack Obama ha tenuto pochi giorni fa di fronte al congresso.
Il presidente americano, dopo aver lanciato al governo di Caracas infondate accuse di vario genere in nome dei diritti umani, della democrazia e libertà, ha affermato come il Venezuela sia una “minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”.
Viene da chiedersi, con quale morale gli Stati Uniti di Gringolandia, primo governo guerrafondaio del pianeta, che si autodefinisce guardiano dei diritti umani, non firma gli accordi di Kyoto? Come mai continua ad ignorare i diritti socio-economici della dichiarazione universale dei diritti umani? Perché analizza minuziosamente i termini di tutela razziale, politica, di diritti civili ed ambientali nel mondo ma si astiene sempre dal firmarli? Sapevate che gli USA ignorano la convenzione mondiale per la protezione dei bambini?
Siete a conoscenza sulle profonde relazioni e ottime collaborazioni della intelligence americana con le più violente monarchie e regimi dittatoriali del Medio Oriente, terroristi arabi, gruppi etno-religiosi, e mercenari fascisti organizzati dalla Francia, UK, Israele che agiscono a favore degli interessi ANGLO-ISRAEL-AMERICANI? Questa élite agisce nel Golfo Persico, in Libia, Afghanistan, Iraq, Anatolia, Asia Minore e pianure dell’ Iran, avvalendosi di politiche che fanno parte di un antico piano strategico, economico e militare di caos e distruzione in ricche zone geografiche della terra. Interi popoli subiscono sanguinari conflitti da parte del militar control capitalista..
Sono numerosi i governanti assoggettati al colloso USA che dopo anni di partnership con la CIA sono diventati all’ improvviso selvaggi nemici della “democrazia gringa”. Un esempio i casi di Saddam, Mobutu, Ceausescu, Marcos, Duvalier, Somoza, Trujillo fanno parte di una lunga lista di ladri e assassini che hanno perso i favori degli USA quando non sono stati più in grado di compiere le brutali richieste assegnate dagli Stati Uniti.
L’amministrazione Obama aggredisce le politiche internazionali lasciate da Chavez, ignora i sostegni di una identità nazionale venezuelana e sudamericana che respinge con forza le pretese imperiali. Subito la risposta di piazza nelle capitali latino americane e altri luoghi del globo a favore al governo di Caracas. Le classi disagiate, le popolazioni indigene e rurali dell’ intero continente danno vita ad una nuova latinità che dalla Patagonia ai Caraibi ha sviluppato, grazie a Chavez, un forte senso patriotico e di consapevolezza del proprio valore e della importanza di lottare per un continente di pace senza le manipolazioni degli USA del passato. La minaccia di Obama si scontra, per la prima volta dopo secoli di saccheggio colonialista, con il grido di liberazione definitiva di tutti i paesi latinoamericani in costante evoluzione.
Nonostante gli ostacoli imposti da Washinton e le sue problematiche sociali, il Venezuela
ha potuto creare leggi favorevoli all’emancipazione del suo popolo, normative per il controllo delle proprie risorse strategiche e petrolifere (le più grandi del pianeta). Queste leggi di protezione territoriale sono divenute la priorità da difendere contro gli interessi euroamericani che tutt’ora desiderano riprendere il controllo del ricco paese Venezuelano. Il senso della misura e quello delle proporzioni difettano non poco al presidente USA, visto che in nessun momento questa nazione sudamericana, ha rappresentato una minaccia per gli Stati Uniti. Occorre dire il contrario semmai, poiché sono proprio gli USA a procedere pubblicamente da anni sul fronte politico, diplomatico e commerciale contro gli interessi del Venezuela e dei paesi progressisti Bolivia, Argentina, Ecuador, Brasile, Nicaragua, Uruguay. In forma nascosta gli Stati Uniti agiscono con il finanziamento di ogni operazione mediatica supportati da violenti cortei di opposizione in maniera di cercare la destabilizzazione di questa nazione Bolivariana. Dichiarando il Venezuela come una minaccia per la sicurezza nazionale, il governo degli Stati Uniti “si auto giustifica” per poter creare consenso internazionale e conflitto contro il governo democratico di Caracas, sia economicamente che militarmente, dice l’avvocatessa e scrittrice Eva Golinger, analizzando i piani degli Stati Uniti in Venezuela per RT Network. Quindi, ciò che i politici venezuelani temono è proprio “un’ imminente azione bellica da parte degli USA “. E questa paura non è infondata se ci si ricorda, ad esempio, dei casi di Panama e Granada, prosegue la Golinger. A differenza di questi due paesi, il Venezuela ha molte risorse strategiche – principalmente petrolio – il che lo rende “ancor di più un obiettivo importante per gli Stati Uniti”.
Il decreto di Obama consente di punire qualsiasi persona o organizzazione in Venezuela, come anche i governi che sostengono questa nazione. Pertanto, si tratta di una misura con “ampie capacità e conseguenze” non solo in questo momento, ma anche per il futuro. Il futuro della pace, della cultura filosofica e spirituale originaria e della protezione delle ultime risorse del pianeta si decide in Venezuela. Il segretario di stato americano John Kerry anticipa la mossa successiva che farà il suo governo, incolpando PETROCARIBE (organizzazione fondata da Chávez per la distribuzione a prezzo solidale di petrolio a paesi poveri dei Caraibi), se l’aggravarsi di un conflitto in Venezuela avrebbe causato una crisi umanitaria nella regione.
Proprio gli Stati Uniti furono gli organizzatori del colpo di stato, poi neutralizzato nel 2002, per spodestare Chávez; un secondo tentativo di ” Golpe” nel Febbraio scorso fu scoperto e smantellato dai servizi di intelligence del Venezuela. Questa costante aggressione e manipolazione mediatica voluta dall’amministrazione di Barack Hussein Obama, (premio Nobel per la pace e prominente sostenitore di conflitti e aggressioni militari ed economiche che portano venti di guerra in ogni angolo del pianeta). Secondo l’attivista ed intellettuale americano Noam Shomski gli Stati Uniti continuano a ripetere lo stesso errore, Shomski afferma che, per la prima volta in oltre 500 anni, il Sudamerica ha fatto passi da gigante nella sua liberazione dal dominio imperialista, divenendo il Venezuela la prima nazione all’ avanguardia in vittorie sociali e nel controllo delle proprie ricchezze. Caracas ha denunciato più volte nelle sedi mondiali la sporca politica nord americana in complicità con la ONU e il suo consiglio di sicurezza (considerata da Caracas un’organizzazione inutile che non difende più gli interessi dei paesi deboli) Gli USA agiscono impunemente contro Cuba, in Colombia, in Africa, Siria,Libia,Iraq, El Salvador e Argentina.
Le strategie di sfruttamento schiavista neo-liberalista continuano e sono sostenute dall’ emporio mediatico. Senza paura né mezzi termini, il governo di Caracas attacca l’ipocrisia del disperato commercio unilaterale euroamericano che, in mezzo ad una forte crisi, cerca nuovi mercati e risorse, questo governo socialista promuove la conoscenza del popolo sulle politiche ambigue e schiaviste imposte alle nazioni subordinate alle lusinghe del nord e dei suoi alleati europei. L’ultimo intervento USA prevedeva il bombardamento del palazzo presidenziale di Miraflores e della sede del network latinoamericano di notizie TeleSur, ma questo piano si è concluso con l’arresto dei congiurati e la pubblicizzazione continentale del progetto ordito dalla CIA e dall’opposizione di ultradestra.
E in qualche modo è la ennesima sconfitta della CIA che a fronte di improvvisate misure anti venezuelane promosse dal dipartimento di stato U.S ha dovuto incassare ancora una volta le normative di reciprocità da parte di Caracas. In questo senso il discorsetto di Obama ha rappresentato l’ultima grave dimostrazione di come Washington cerchi con ogni mezzo di disfarsi del fastidioso governo Bolivariano, responsabile di finanziare e risvegliare la coscienza rivoluzionaria sudamericana e caraibica. Si fa luce su quali siano i reali intenti che si celano dietro la retorica dei diritti umani imposta a chi non sostiene gli interessi capitalisti; l’inetto Presidente mulatto degli States si trova a dover far fronte ai nuovi problemi razziali in USA dove, ogni 28 ore, vedono giustiziata una persona afroamericana o ispanica da una polizia repressiva, nella maggioranza dei casi in maniera brutale e senza motivazione. Sono in crescita gli spazi di reclusione per i dimostranti che si azzardano ad esprimere pubblicamente il loro dissenso contro il governo, mentre lo stato di Utah cerca di ripristinare la fucilazione come pena capitale. Obama ha riempito di guerre e colpi di stato tre continenti su cinque in soli sei anni, causando una destabilizzazione e una crisi internazionale economica senza precedenti.
Ma sarebbe riduttivo imputare l’iniziativa bellica di Obama ad un solo rigurgito neocolonialista; piuttosto va letto nel contesto ampio del quadro politico venezuelano. La destra fascista di Caracas, sostenuta dalla Casa Bianca, si è organizzata con paramilitari colombiani pagati in dollari e la benedizione oligarca che fa capo agli interessi della corona spagnola. Questa trilogia corporativa rappresenta la mano armata di Washington nella regione, non riesce ad avere la meglio sul governo guidato dal pupillo di Chavez, Nicolas Maduro. La sostanziale divisione interna dell’opposizione obbliga in qualche modo gli USA a forzare per una soluzione rapida benché cruenta senza però aver previsto le conclusioni di UNASUR (unione dei paesi sudamericani) che ha emesso una dichiarazione di completo dissenso contro il governo degli Stati Uniti, affermando che non permetteranno ulteriori aggressioni contro la sacra terra del Libertador o qualunque altro luogo dell’ America Latina. Dalla Bolivia, il primo presidente indigeno del mondo Evo Morales ha affermato che Obama doveva chiedere scusa al Venezuela e ritirare il suo decreto, altrimenti si sarebbe trovato, alla prossima riunione delle Americhe, “la orma per le sue scarpe”.
Il consenso popolare e continentale al governo Maduro resta alto. Anche se la crisi grava sulla popolazione. La caduta del prezzo del petrolio, per volontà statunitense, ha inciso pesantemente sulla bilancia commerciale del Venezuela, tra i primi esportatori di greggio al mondo. Inoltre, la patria di Bolivar e Chavez è fatta oggetto di una campagna internazionale speculativa, manipolativa e criminale, alla quale poi si sono sommati gli sforzi costanti di gruppi di potere in Miami, Bogotá, Madrid e Washinton.
E’ una opposizione filo borghese che cerca disperatamente di riproporre la stagione delle “guarimbas” con le quali nel 2014 misero a ferro e fuoco buona parte del paese, lasciando un saldo pesante di morti e distruzioni. Non era in nessun modo pensabile che il governo rimanesse a guardare e così è stato.
Le indagini della polizia e le risultanze delle inchieste della magistratura determinarono alcuni arresti, tra i quali quello di Leopoldo Lopez, autentico leader nazista a capo della frangia più estrema della destra. La stessa “mesa de dialogo”, nata su iniziativa vaticana e dell’Unasur, ha prodotto una divergenza strategica importante tra i vari settori della destra.
Anche in seguito a questa divergenza, Leopoldo Lopez, che agisce in comproprietà con Maria Cristina Machado, il volto isterico dell’opposizione, non gode dell’appoggio politico di Enrique Capriles, uomo dell’imprenditoria e referente degli USA e della gerarchia ecclesiale, già sconfitto candidato unico contro Chavez prima e Maduro poi.
Gli Stati Uniti vedono il rischio che le misure adottate dal governo stabilizzino il paese e avvertono dunque il bisogno di agire subito. Come? Premendo sull’ acceleratore dello scontro con Caracas, innescando un vero e proprio embargo di prodotti e delle attività finanziarie, nella speranza di determinare una rapida escalation della crisi e impedire che il governo Maduro possa – con le misure a sostegno dell’economia – portare il quadro economico del paese verso un netto miglioramento e garantirsi così il consenso elettorale alle elezioni previste per quest’anno.
La solidarietà latinoamericana con il Venezuela non si è fatta attendere. Non solo Cuba, Nicaragua, Bolivia, Euador, Argentina, ma persino l’OEA, attraverso il suo segretario Jorge Insulza (non certo un amico di Caracas) hanno denunciato l’assurdità delle affermazioni di Obama e la grave ingerenza negli affari interni di un paese sovrano. Intanto, se l’intenzione di Obama era quella di intimorire il governo Maduro o allontanare il consenso popolare, il risultato è stato esattamente l’opposto, giacché per i venezuelani un popolo allegro e pacifico che, tuttavia, non si lascia intimorire o assoggettare da nessuno. Sentirsi minacciati da un potente paese straniero ha rinvigorito il sentimento originario e nazionalista diffusissimo nel paese, arrivando ad incrementare il consenso al governo perfino da molti oppositori. Importante puntualizzare che fu proprio da Caracas che ebbe inizio la lotta di liberazione che portò Simon Bolivar a unire le forze e vincere, nella sua terra e in altre nazioni del continente, la guerra contro l’oppressione coloniale spagnola. Se la strategia USA era quella di isolare Caracas la risposta è stata solida e determinata: l’Unasur , la Celac, e Petrocaribe a livelli presidenziali hanno rigettato la provocazione statunitense. Non a caso l’edizione di giovedì del New York Times, che pure aveva esortato Obama a muoversi contro Caracas, ha duramente criticato il presidente, accusandolo di dilettantismo stupido e di aver messo in moto un meccanismo che produrrà risultati opposti a quelli voluti. Praticamente un copione identico a quello recitato per 55 anni contro Cuba, dal quale sembrava che Obama avesse imparato l’inutilità.
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OBAMA MIRA AD INVADERE IL VENEZUELA.
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