Roma (Lazio) 16 gennaio 2015

LE RAGIONI DELLA PAURA

Dopo i fatti di Parigi, sono molti a sostenere che con l’estremismo islamico siamo in guerra.
Credo che sia poco opportuno divulgare questa idea, se non altro perché la guerra, almeno nell’accezione che abbiamo noi, prevede eserciti, fronti dove si battaglia per la conquista – o la riconquista – di un territorio, per ristabilire un ordine sovvertito o, peggio, come è successo negli ultimi decenni, come risposta ad una violenza in nome della democrazia.
Siamo, invece, di fronte ad uno scontro tra due “mondi”: l’occidente – cristiano giudaico, ex colonialista, imperialista e, per fortuna, irriverente – e un certo tipo di Islam.
Dico “un certo tipo di Islam” perché è molto lontano da quella fede professata da un terzo della popolazione mondiale che tra i suoi cinque precetti fondamentali ne ha uno meraviglioso: fare la carità; che considera Gesù, dopo Maometto, il profeta più importante; dove la “guerra santa” è la guerra interiore verso le tentazioni e l’ingordigia; la fede che ha dato vita al Sufismo,“la scienza della realtà essenziale”, la religione più raffinata e romantica di tutte dove il modo più naturale di avvicinarsi a Dio è danzare. Il Corano, in una sua delle sue 114 sura, dice che “se attaccati è giusto difendersi, ma senza eccessi”. Allàh lo sa che gli eccessi sono sempre sgradevoli, nella religione, nella politica, negli affari, così come nel nel vestire.
“Un certo tipo di Islam” che oggi conosciamo come ISIS e al Qaida e che ai cinque precetti fondamentali ne ha aggiunto un sesto: l’odio verso la cultura occidentale, i suoi valori, i suoi simboli, la sua libertà. E il suo passato.
Un odio che oggi è più forte di quanto potesse esserlo dieci, venti, cinquanta anni fa, e a renderlo così cruento e irrazionale è, paradossalmente, la globalizzazione, il mondialismo, l’informatizzazione delle relazioni sociali, soprattutto. Ed è proprio il progresso, che ha reso il mondo così piccolo e fruibile (quasi poco interessante, secondo me), a farli ancora più forti, più imprevedibili, subdoli, potenzialmente pericolosissimi.
Fino a ieri l’ISIS e al Qaida hanno fatto proseliti nelle moschee, nelle madrasse, nelle università coraniche, tra i reduci della guerra contro la Russia degli anni ottanta novanta, quando l’Afganistan, imbottita di armi e dollari dall’America, ha attirato a se decine di migliaia di mercenari da tutto il mondo islamico e che, a guerra finita, sconveniente per loro tornare nei paesi d’origine, non hanno potuto far altro che continuare la “guerra”, convincendoli, stavolta, che è santa.
Oggi l’ISIS e al Qaida i nuovi mujaheddin li arruolano in rete, attraverso i social network, blog e web site tematici.
Fa strano vedere che a capo di questo “certo tipo di Islam” ci siano i brutti ceffi con quell’aria da pecorai con il barbone, il kaftano e il turbate che vedere nelle immagini dei telegiornali; si, il look è quello, ma sono uomini coltissimi che hanno studiato nelle migliori università del mondo. Uomini che hanno il know-how del “fomentare terrore”, sanno cos’è la fascinazione, conoscono bene i sentimenti di rivalsa che, alla fine, se vai a vedere, oggi, sono in tutti giovani. Sanno aspettare.
Grazie alla loro pazienza capiscono che internet ha i limiti di avere una natura veloce, che non ti lascia ragionare, che ha bisogno, per esistere, di rinnovarsi continuamente perché le “informazioni” che dai e che ricevi devono essere divorate; se metti un post, dopo mezzora è vecchio.
Sanno che internet da solo risposte, non fa mai domande. Lo sanno usare!
Lo diceva Einstein, settanta anni fa, che “quando la tecnologia andrà a sostituire le emozioni e le passioni della gente avremo un popolo di idioti”. Probabilmente avranno letto i sui scritti.
Conoscono le potenzialità dei social network, sanno che la straordinaria capacità evocativa di certe immagini, di certe frasi, di certe foto possono riempire un vuoto dato dall’emarginazione, dalla non integrazione di milioni di giovani musulmani (e non solo) nati magari a Parigi, a Londra, a Roma, a New York; sanno di trovare terreno fertile in questo grande bacino d’utenza che è concentrato sopratutto nelle periferie delle grandi metropoli dove la frustrazione – anche per colpa nostra – è più sentita.
Questa è la vera ragione della paura che dobbiamo avere! Ritrovarci tra qualche anno con migliaia di neofiti, magari in Moncler e Nike, con gli I Phon 10 in mano, ubriacati di ideologie assurde, pronti a tutto pur di difendere qualcosa che nemmeno sanno cos’è o, come sono più propenso a credere, per avere i loro dieci minuti di celebrità.
Che fare allora? Oscurare i siti e i profili sospetti nei social network? Non credo servirebbe a molto. Con nuovi account (magari cifrati) si rimettono su. Pensare ad una nuova regolamentazione dell’uso dei S.N, dei blog e dei siti web dove, come per aprire un conto corrente on line in banca, per iscriverti devi produrre indirizzo, dati anagrafici, codice fiscale, copia documento, numero di telefono e successivo controllo incrociato prima dell’ok? Potrebbe essere un’idea, ma temo che i colossi di Google, Yahoo, Facebook si metterebbero di traverso.
Più tolleranza, più integrazione, ridisegnare la geografia sociale delle città evitando di concentrare immigrati e cittadini di fede musulmana nelle periferie; rendere queste ultime più belle, più vivibili, più colorate? Si, lo so, sono belle parole, soprattutto le prime due, ma al momento io non vedo soluzioni alternative.

Ps: Lo diceva Einstein, settanta anni fa, che “quando la tecnologia andrà a a sostituire le emozioni e le passioni della gente avremo un popolo di idioti”. Questo vale per tutti! Per me, per primo!