Per fare una rivoluzione ci vogliono due cose: qualcuno o qualcosa contro cui rivoltarsi e qualcuno che si presenti e faccia la rivoluzione.
Di solito ci si veste in modo molto informale e le parti in causa sono piuttosto flessibili nello stabilire il luogo e l’ora ma, se nessuna delle due parti si fa viva, l’impresa va a finire male. Nella rivoluzione cinese del 1650 nessuna delle due parti si fece viva e perdettero l’anticipo per la sala.
Vengono chiamati “oppressori” le persone o il partito contro cui ci si rivolta e sono facilmente riconoscibili perché apparentemente sono gli unici che si divertono. Gli “oppressori” generalmente portano completi fumo di Londra, posseggono terreni e tengono la radio al massimo di notte senza che gli altri osino protestare. Il loro compito è di mantenere lo status quo, una condizione dove tutto rimane lo stesso anche se in effetti sono disposti a dare una mano di bianco ogni due anni.
Quando gli “oppressori” diventano troppo severi, abbiamo quello che si chiama uno stato di polizia, dove è vietato ogni dissenso, come il ridacchiare, il portare una cravatta a farfalla o soprannominare il sindaco “Ciccio”. Le libertà civili sono molto ridotte in uno stato di polizia e non esiste la libertà di parola, anche se è permesso doppiare una canzone in play-back.
I gruppo che si rivoltano sono chiamati “oppressi” e generalmente si assembrano brontolando e accusando emicranie (si osservi che non si verifica mai che gli oppressori si rivoltino o cerchino di diventare gli oppressi perchè ciò comporterebbe un cambio di biancheria).
Si deve notare che, una volta compiuta la rivoluzione, gli “oppressi” spesso prendono le redini e cominciano a comportarsi come gli “oppressori”. Naturalmente da quel momento diventano irraggiungibili al telefono e per quel che riguarda gli spiccioli prestati durante la rivoluzione, è meglio non chiederne la restituzione.