Visita a San Martino del Carso e monte San Michele domenica,15 gennaio 2016 guide: Fabio Denitto, Paolo Pollazzi. Sono passati ormai cento anni, eppure ci sono posti in cui la Grande Guerra sembra essersi conclusa ieri. Posti dove, scavando sotto le fondamenta delle case, si sono possono ancora trovare rifugi scavati dai soldati ungheresi per difendersi dai bombardamenti; dove solo pochi anni fa sono stati trovati sotto un’abitazione resti di corpi di soldati italiani morti soffocati nel tentativo di deporre gelatina esplosiva sotto le mine austriache; dove si può ancora sentire l’acuto odore del nitrato presente all’interno di una spoletta di proiettile e, camminando nelle trincee scavate nella brulla landa carsica, intuire lo stato d’animo che devono aver vissuto i fantaccini che qui hanno vissuto per tanti mesi sotto il tiro delle artiglierie austroungariche e che da qui, sottoposti a disciplina ferrea che contemplava spietate decimazioni, si sono lanciati all’attacco. Posti come il paese di San Martino del Carso che conserva ancora, all’ingresso dell’abitato, il “brandello di muro” celebrato da Ungaretti e come le cime del monte San Michele dove, poco oltre le cannoniere, tra rifugi e camminamenti si possono ancora distinguere i crateri lasciati dalle bombe. Dove i bombardamenti duravano anche 72 ore ininterrotte e per la prima volta sono stati usati i micidiali gas ma anche dove, da una terrazza che spazia sull’altopiano verso sud, si vede lontano luccicare quel mare che con tutta probabilità ispirò il celebre “M’illumino d’immenso”. E’ stata pertanto estremamente interessante sotto il profilo storico ma soprattutto di grande impatto emotivo la visita organizzata domenica scorsa, 15 gennaio, dalla sezione triestina UCIIM in collaborazione con la FARiT nell’ambito delle proposte 2016/17. Guide d’eccezione Fabio Denitto e Paolo Pollazzi che hanno condotto i partecipanti in una escursione tra passato e presente offrendo una autentica lettura di originali e toccanti reperti bellici da cui è balzata evidente la terrificante crudezza della guerra. Tutto il paese vive ancora della memoria e intorno alla Grande guerra. Il luogo d’incontro e di socializzazione è il piccolo ma significativo museo privato realizzato dal Gruppo speleologico carsico con la catalogazione e lo studio del materiale trovato in loco e donato dai paesani: fucili, baionette, elmi austriaci e italiani, i micidiali schrapnel di vari formati e dimensioni, schegge di proiettili, mazze ferrate, piastrine di riconoscimento. E ancora: rotoli di filo spinato, i paletti per sostenerli, le tenaglie per tagliarli e i temutissimi “gatti”, i Kätze, detti così per il sinistro miagolio che ne accompagnava il lancio e che nel distruggere i reticolati uccidevano nel contempo i soldati; maschere antigas, martelli pneumatici, vanghette anche dentate utili a scavare trincee ma anche a colpire il nemico e indispensabili WC d’emergenza; fibbie, oggetti di vita quotidiana, dalle gamelle alle bottiglie ai sacchetti da riempire di terra ed usare come riparo… reperti conservati ed esposti così come sono stati trovati, ciascuno portavoce e testimone di una storia personale straziante e commovente. Oggetti, storie, rievocazioni ed anche suoni come quello del fischietto che dava il segnale dell’attacco che hanno restituito la realtà del primo conflitto mondiale non solo nella sua verità storica ma anche nella sua tragica crudezza perché come scrive Paolo Rumiz, opportunamente citato in vetta al monte San Michele, “La pace per esistere ha bisogno della memoria della guerra. Senza quella memoria il mondo è in pericolo, e la parola “Pace” perde il suo senso. Non c’è niente di più rischioso che sentirsi sicuri. La paura, invece, è una cosa sana: e noi abbiamo il dovere di risvegliarla per non ricadere nell’errore”. (Marina Del Fabbro)
Trieste: L’UCIIM a San Martino del Carso e monte San Michele
Pubblicato in Arte e Cultura |