Palermo (Sicilia) 12 novembre 2018

Mafia nigeriana, iniziazione segreta e violenza: a Palermo parla il “Buscetta nero”.

Sette candele a terra, per disegnare una bara. Un tempio con al centro un’ascia e una coppa colma di liquido – una bevanda a base di droghe come erba, noce di cola, foglia di zobo, pepe di alligatore, panadol – che sarà bevuto, al cospetto del Priest, dai cosiddetti ignoranti. “Sono quelli che aspirano a essere affiliati. Vengono picchiati da quattro saggi che li frustano con il keboko, mentre percorrono in ginocchio un tragitto chiamato Slave Trade”, la tratta degli schiavi. Non è l’iniziazione a una loggia massonica. È il rito di affiliazione della mafia nigeriana. Un rituale antico ma che si ripete continuamente, in gran segreto. E non solo in Africa. A raccontare questo, come tanto altro, è Austine Johnbull: ed è il primo pentito della mafia nigeriana, in Italia.

Ha iniziato a collaborare con il pm di Palermo Gaspare Spedale alla fine del 2016: da allora ha riempito centinaia di pagine di verbali, che il nuovo Fq MillenniuM pubblica in esclusiva. Ha fatto nomi e cognomi. Ha indicato gli infami. Ha detto chi sono i capi e i sottocapi. Ha ricostruito riti d’affiliazione quasi mistici e più concreti affari di droga. Ha confessato di aver giurato sul suo stesso sangue, quello delle mani, che gli hanno inciso da palmo a palmo. “Se qualcuno nega le mie affermazioni, io posso guardargli le mani: se ha una linea, come la mia, sta mentendo”.

“Non voglio più essere contro lo Stato ed è meglio collaborare”: sono le prime parole pronunciate da quello che è diventato a tutti gli effetti il Tommaso Buscetta nero. Per spiegare l’importanza delle sue dichiarazioni – che hanno portato alle prime condanne emesse a Palermo per una mafia straniera – i giudici citano la descrizione che Giovanni Falcone fece del boss dei due mondi.