“Come sono belle: non sembrano neppure fotografie!”avrebbe esclamato qualche anno fa, davanti alle immagini di Augusto De Luca, il solito critico d’arte, disinformato nei confronti della fotografia, da lui, come del resto da altri colleghi, considerata una copia piu’ o meno attendibile del bello pittorico. I tempi sono cambiati, anche i critici d’arte si interessano, sia pure con qualche confusione, al linguaggio foto-ottico, e quella frase fa parte di un repertorio obsoleto. Il fatto è che le fotografie a colori, squillanti e sensuose, di De Luca permettono raffronti non labili con la pittura. Qualcuno ha parlato, da una parte, di lezione surrealista, e, dall’altra, di influenza metafisica. Le loro geometrie, il gioco delle ombre, la distribuzione spaziale di tonalita’ calde e vibranti, vanno comunque al di la’ di ogni facile riferimento.
Nato a Napoli nel 1955,laureato in giurisprudenza, De Luca ha cominciato a fotografare nel 1977. Era il periodo piu’ acceso del “concettuale” in arte. Molto rigore formale, nessun interesse per la realta’ vista come documento e come indagine sociale. Un rifiuto netto e categorico, anzi, di quei maestri dell’obiettivo, tra i primi Capa o Cartier-Bresson, che negli Anni Cinquanta e Sessanta insegnarono a tanti il senso di una comunione diretta con la vita e l’accordo pieno, umanisticamente risentito, tra verita’ e poesia.
Tratta anche le Polaroid a sviluppo immediato: frammenti di un mondo che è riconoscibile nella realta’, ma che al tempo stesso ci da’ un’altra dimensione, prospetta altri valori, sul piano figurativo e creativo. Le mostre in Francia, a Lyon, ad Annecy, a Tourcoing, stupiranno i critici per questa spregiudicatezza e per questa liberta’ inventiva, che sembrano proprio una prerogativa della fotografia italiana, di cui De Luca è uno dei rappresentanti piu’ intuitivi e raffinati. GIUSEPPE TURRONI
Le magiche Polaroid SX – 70 di Augusto De Luca
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