Napoli (Campania) 23 settembre 2014

LA NAPOLI GRECO-ROMANA

L’impianto urbano della Neapolis greca e romana era strutturato secondo una maglia regolare di strade, ancora ben evidente nel centro storico della città moderna, definito a Nord da via Foria, a Sud da corso Umberto, ad Ovest da via Costantinopoli e ad Est da via Carbonara. La cinta muraria, il cui tracciato è oggi completamente conosciuto, circondava tutta questa area, correndo lungo i valloni che ne caratterizzano la morfologia. La cortina, impiantata agli inizi del V, integrata sullo scorcio del IV, in concomitanza con le guerre sannitiche, e rimaneggiata nel corso del III sec. a.C., ha in alcuni tratti una struttura a doppia cortina raccordata da briglie, con riempimento in tufo e terra, in altri un solo paramento con terrapieno retrostante e briglie che si ammorsano al fianco della collina. Queste fortificazioni rimasero inalterate  per secoli, sino a quando Valentiniano III, nel 440 d.C., non ne volle un allargamento verso la zona portuale, intervento del quale rimane traccia in una torre lungo corso Umberto ed un tratto a piazza Nicola Amore.
Tre erano le arterie principali (plateiai o decumani)dell’area cittadina con andamento Est / Ovest riconoscibili nelle odierne Via Anticaglia – Pisanelli, via Tribunali, via San Biagio dei Librai. Queste componevano una griglia regolare con una serie si strade minori ortogonali(stenopoi o cardines), con orientamento Nord / Sud. L’incrocio degli assi formava isolati (insulae) larghi m 35 e lunghi m 185, secondo uno schema attribuito tradizionalmente al famoso architetto Ippodamo di Mileto, ma in realtà noto già dalla fine del VI sec. a.C. L’area della antica acropoli della città greca si estendeva sulla sommità della collina di Sant’Aniello a Caponapoli. Le testimonianze archeologiche qui individuate sono nascoste e ripartite tra le abitazioni private, gli edifici religiosi e le strutture del Policlinico. L’unico dato archeologico relativo ai culti praticati è costituito dalla stipe votiva rinvenuta sotto la clinica di Semeiotica medica, che ha restituito terrecotte connesse probabilmente al culto di Demetra, databili tra la fine del V e la fine del IV sec. a.C. A valle dell’acropoli era situata la piazza principale (agorà), attraversata dal decumano maggiore corrispondente all’odierna via Tribunali. I confini dell’agorà greca si individuano a Nord in via Anticaglia, a Sud in via San Biagio dei Librai, ad Ovest in via Fico al Purgatorio, ad Est in via Giganti. All’agorà greca si sovrappose poi il Foro della città romana. Secondo fonti erudite cinquecentesche il Foro di Napoli era definito “doppio”, e questa caratteristica viene confermata da ricerche recenti, che indicano una ripartizione, tramite il decumano maggiore (via Tribunali), dello spazio forense in due piazze separate. In questo modo si determinava una distinzione funzionale tra gli spazi pubblici: nella parte settentrionale erano ospitati i teatri ed il tempio dei Dioscuri, ed in quella meridionale il vero e proprio Foro a carattere mercantile.
Gli edifici teatrali, secondo le fonti antiche, dovevano essere due, uno scoperto ed uno coperto; tuttavia non si hanno ancora notizie certe per il secondo di essi (forse individuabile in alcune strutture sottostanti un fabbricato in via San Paolo). Dell’altro edificio, del quale è nota la pianta, sono rimasti sempre ben visibili gli archi di sostegno in laterizio, sotto i quali passa l’odierna via Anticaglia, riferibili ad un restauro eseguito tra il II ed il III sec. d.C.. La cavea occupava l’area tra via Anticaglia, via San Paolo e vico Giganti, ed è parzialmente conservata nel giardino di un palazzo in via San Paolo. All’interno del piano terra delle abitazioni moderne, nelle quali è tuttora inglobato il teatro, sono inoltre parte degli ambulacri mediano ed esterno, ed i muri si sostegno della cavea. Il monumento sembra risalire all’età flavia, in un’epoca successiva al terremoto del 62 d.C., quando evidentemente furono necessari ingenti restauri.
Il tempio dei Dioscuri, l’edificio sacro più importante della città, datato all’età tiberiana, sopravvive in parte nella chiesa di San Paolo Maggiore, in via Tribunali. Il riuso della struttura antica si determinò nell’VIII secolo d.C. quando l’edificio pagano venne trasformato in chiesa cristiana consacrata a San Paolo. La facciata esastila del tempio, che ancora si conserva nel reimpiego, è rappresentato nel frontespizio della Cronaca di Partenope del 1526 ed in un disegno di Francisco de Hollanda del 1540. Durante la sistemazione settecentesca della chiesa vennero posti nelle nicchie della facciata, alle spalle delle statue dei santi Pietro e Paolo, i due torsi dei Dioscuri, trovati precedentemente e da lì trasferiti, nel 1972, nel Museo.
Il macellum della città occupava il settore meridionale del Foro, sotto il complesso di San Lorenzo Maggiore. Il mercato alimentare comprende una piazza quadrangolare delimitata da botteghe, con una tholos centrale. Questa zona scoperta si sovrappone ad un criptoportico inferiore, che affaccia su una strada (stenopos) dove sono altri ambienti per la vendita e quello che è stato identificato con l’aerarium della città.
Le necropoli erano ubicate all’esterno delle mura, in corrispondenza delle porte e delle strade: ad Est, fra Castel Capuano e Forcella; a Nord, tra via Foria e via Carbonara, ed alla Sanità; ad Ovest, fra via Santa Teresa al Museo e via Costantinopoli sino a piazza Santa Maria la Nova. Altre sepolture sono note inoltre in direzione del porto a Sud: fra queste ultime particolare importanza rivestono due tombe che tipologicamente si ricollegano a sepolture principesche di Cuma della fine dell’VIII sec. a.C. Le più antiche sono, tuttavia, quelle di Castel Capuano, databili fra il primo ed il secondo quarto del V sec. a.C. In età imperiale una particolare concentrazione di tombe sembra interessare l’area di Forcella. A partire dall’epoca alto  medioevale, alcune aree marginali dell’abitato furono destinate ad uso funerario.
A partire dai lavori del “Risanamento”, sino ai più recenti interventi pubblici, sono venuti in luce resti edilizi e materiali che consentono di individuare l’area termale ed il gymnasium. Le antiche terme dovevano essere ubicate approssimativamente tra l’attuale Castel Capuano, San Nicola dei Caserti, corso Umberto e via Tribunali, dove sono state rinvenute strutture pertinenti ad un peristilio con pavimentazione a mosaico, nonché una copia del Diadumeno ed un torso di atleta; a queste evidenze sembrano essere collegate altre strutture, di dubbia pertinenza ad edifici pubblici o privati, con grandi archi laterizi, tubuli in terracotta e rivestimenti in cocciopesto, inglobate nei sotterranei dell’Archivio di Stato. Dell’antico gymnasium sono testimonianza una statua di Nike acefala, un’erma di Eracle e numerose iscrizioni relative ai Sebastà, tutti provenienti dalla zona compresa fra Sant’Agostino alla Zecca, corso Umberto e Sant’Agata degli Orefici. Recente è infine il rinvenimento in piazza Nicola Amore di un tempio prostilo su podio, identificato con il tempio annesso al gymnasium, di età giulio – claudia, circondato da un portico le cui pareti erano rivestite di lastre iscritte, ritrovate ribaltate, con le dediche dei vincitori nei diversi tipi di gare ginniche, equestri e musicali dei Giochi Isolimpici. Altrettanto recente è l’individuazione in Piazza Municipio del porto di Neapolis, già ipoteticamente ubicato in quest’area da alcune fonti antiquarie e da Mario Napoli, dove sono state rimesse in luce tre navi mercantili lignee databili tra il I ed il III sec. d.C., ed una serie di pontili con numerosi reperti ceramici, lucerne, anfore, ma anche cordami e strumenti da pesca, che attestano l’uso del bacino portuale, ripetutamente dragato nel corso dei secoli, almeno dal IV al VI sec. d.C., quando esso si interrò a causa del fenomeno bradisismico, che provocò l’abbassamento progressivo della linea di costa antica, Lungo le coste del golfo, in età imperiale, sorsero complessi residenziali appartenenti ai personaggi più in vista della società romana; fra esse l’unica di proprietà  oggi nota è la villa del Pausilypon, che si estende sulla collina detta appunto di Posillipo tra le baie della Gaiola e di Trentaremi. Costruita nel corso del I sec. a.C. da Vedio Pollione, la villa entrò a far parte, alla sua morte, delle proprietà di Augusto. A quest’epoca risalgono il teatro e l’odeion edificati sulla terrazza più alta, e l’accesso al pianoro tramite la cd. Grotta di Seiano, suggestivo percorso in galleria che collegava Napoli con Pozzuoli.