Potenza (Basilicata) 23 novembre 2014

POTENZA 23 NOVEMBRE 1980: QUEL TERREMOTO INTERMINABILE

Ci sono momenti della vita che restano indelebili nel tempo. Non è la stessa domenica, di uno stesso mese di due secoli o millenni diversi.
Quella del 1980 rimarrà nella storia come la domenica più triste della mia vita e della vita di molti di noi. La domenica del terremoto più lungo e violento che si avverti in tutto il Sud e Centro Italia, che provoco’ migliaia di morti e rovine ovunque, in Basilicata ed Irpinia.
Novantasei interminabili secondi, 6.9 scala Richter, in cui si smossero le dolomiti lucane e non solo e la terra che sussultava e ondulava fece venire giù tutto quello che era di vecchio ma anche nuovo e forse rifinito male.
Ero da poco rincasato, di rientro da una partita a tennis con Valerio Oliviero, nel campo al di sotto del Coni, di fronte a quella palazzina sul colle di Montereale, che seppi solo qualche ora dopo che si era sgretolata a metà causando diversi morti.
Ero in accappatoio, in attesa di farmi la doccia intento a guardare la TV per vedere la rete del momentaneo pareggio dell’Inter a Torino contro la Juventus. Avevo appena salutato i miei genitori che stavano uscendo vista la piacevole e calda serata, quando vidi correre mia madre verso di me nel salone e abbracciarci forte, mentre mio padre si fermò sotto l’uscio di casa a urlare agli altri da amministratore del condominio “non prendete l’ascensore, fermatevi calma, calma,calma”.
Per una frazione di secondo non mi resi conto di cosa stava accadendo, poi il continuo ondeggiare e l’infrangersi di piatti, bicchieri che cadevano dai mobili apertisi da soli, convinsi mia madre a scappare via. La presi per mano e ci catapultammo via giù per le scale.
Abitavano al quinto piano in Largo Aurelio Saffi, tra via Mazzini e la discesa di San Gerardo, su cui sbucammo per andarci a mettere al sicuro nei pressi della Caserma dei militari e della Villa di Santa Maria. Furono attimi interminabili aspettando mio padre che uscisse dopo aver aiutato gli altri che erano in difficoltà e la disperazione di cercare mio fratello Roberto che si trovava ad una festa nella parrocchia di Santa Maria.
In tanti fecero la stessa cosa. Rivedo ancora gli abbracci e i pianti della gente impaurita e impietrita dal terrore del terremoto e c’era anche chi sosteneva che forse il Vesuvio si fosse incazzato.
Tanta la paura che non avevo la forza nemmeno di bere un bicchiere d’acqua, mentre intorno vedevo correre persone in mezzo alla strada e i clacson delle macchine impazzire che non facevano sentire neppure le sirene delle ambulanze che salivano verso il centro.
“Ci sono morti a piazza Prefettura.” Si diffuse subito la voce tra chi passando scappava per andare verso Rione Verderuolo per vedere cos’era successo alle proprie abitazioni e ai rispettivi familiari.
Faceva talmente caldo che nessuno si rese conto che ero in accappatoio, altri erano senza scarpe, ed altri addirittura anche in camicia da notte.
Ognuno si era precipitato fuori di casa cosi come si trovava.
Passato il buon quarto d’ora e dopo esserci rassicurati che tutti stavano bene mia madre si tranquillizzo e scoppio a piangere abbracciando Roberto che ci corse incontro ad abbracciarci. Anche gli altri familiari, nonni, zii, cugini, amici di famiglia stavano per fortuna tutti bene e decidemmo di ritrovarci in campagna a Macchia Romana, nel prefabbricato che usavamo per le scampagnate o per trascorre le serate estive all’aria aperta, dove oggi, invece abito con mio padre, mio fratello, mia cognata i miei nipoti, ma senza più mia madre che era la ereditaria del terreno.
Con mio padre incrociammo lo sguardo per decidere di risalire a casa solo noi due per prendere vestiti e altro occorrente immaginando che saremmo rimasti per molto tempo in campagna. Fu cosi per noi, ma anche per tanti altri che avevano paura ma anche la casa “gravemente danneggiata”.
Mio padre riuscì a tirare fuori la macchina dal garage, ci accompagnò in campagna al sicuro e come arrivarono gli altri lui si dileguo’ in silenzio per correre in RAI. Tutti erano stati allertati per un terremoto di proporzioni ancora incalcolabili.
La RAI ebbe il merito quella triste domenica del 23 novembre 1980 e nei giorni successivi di far condividere e comprende al Paese il dramma di quella catastrofe.
Scattò poche ore dopo una grande solidarietà nazionale e internazionale.
Anche mio padre fece la sua piccola parte, tralasciando la famiglia per essere sul posto di lavoro con tutti gli altri colleghi “bisognava informare il Paese e aiutare tutti i terremotati”. Ieri mattina, mostrava con orgoglio ai miei nipoti, la medaglia di benemerenza conferitagli a testimonianza dell’opera prestata in favore delle popolazioni della Campania e della Basilicata colpite dal sisma del 23 novembre 1980 dal Commissario Straordinario on. Giuseppe Zamberletti e che conserva nella sua stanza con le foto di altri piacevoli momenti. Furono giornate interminabili, di grande solidarietà tra tutti noi, ci aiutavamo gli uni con gli altri con tanta generosità.
Arrivo’ anche il Papa il martedi di buon mattino ed atterro’ proprio vicino l’Ospedale San Carlo, nei pressi della mia campagna.
Corremmo tutti incontro a Lui, ma nessuno aveva la forza di pregare e quell’Uomo Santo che venne da lontano ci accarezzo’ e ci osservo’ tutti pregando per noi e per i tanti morti che aumentavano di ora in ora.
Ci recammo poi con Lui in Ospedale, per salutare i feriti prima di ripartire per Balvano, dove tanti bambini morirono per il crollo della Chiesa restaurata male.
Nessuno aveva il coraggio di parlare, di denunciare i ritardi dell’arrivo dei soccorsi, nemmeno di pregare.
Papa Giovanni Paolo II, interpreto’ il dolore e lo strazio dei terremotati e ricordo che ci disse con voce commossa e triste “questa vostra grande sofferenza è preghiera, qui state pregando con la vostra sofferenza.Dio vi assiste”.
Anche il presidente della Repubblica Sandro Pertini scese giù da noi per rendersi conto dei ritardi dei soccorsi. “VERGOGNA” urlò al paese e poi mando’ l’on. Zamberletti che diede il via alla Protezione Civile e segui l’opera della ricostruzione tra ritardi, sprechi e la disperazione della gente.
Quelle furono notti in cui si parlava tanto tra di noi. Oggi purtroppo parliamo con gli altri solo con FB, SMS, TW, EMAIL.
I ricordi sono tanti e nella notte di questo 23 novembre il mio pensiero è per tutti coloro che hanno vissuto quelle sofferenze e quei dolori e anche di chi purtroppo non c’è più.
Fu un “terremoto senza fine”, interminabile come ci ricorda Vittorio Sabia con i suoi racconti, le sue immagini che rimarranno nella storia di chi non c’era ed ha avuto la fortuna di non vivere quelle tristi e drammatiche emozioni. Sono attimi, parole, pietre, polvere, dolore, disperazione, solidarietà che non potrò e non possiamo mai dimenticare.
A Potenza, per fortuna furono pochi i morti rispetto alle tante devastazioni, ma di quei morti e di quel terremoto nessuno se ne ricorda più. L’Amministrazione Comunale disastrata per altri motivi però non può ignorare un evento così catastrofico che colpi la nostra città. Peccato che non tutti hanno senso civico, amore per la Città, la Regione, la nostra drammatica storia. La Politica non è per tutti, ma tutti possiamo farla con amore e passione purchè si rispettino sempre le comunità.

GIANLUIGI LAGUARDIA
giornalista