La Camera di Consiglio del Tar si è espressa anche nel merito. Ora non ci sono più dubbi. Il forno rotante dell’inceneritore Fenice, quello cioè dove vengono bruciati rifiuti speciali industriali (provenienti dal ciclo Fiat,
Il Tribunale amministrativo regionale, per la cronaca, già a fine dicembre aveva accolto il ricorso dell’azienda contro lo ‘spegnimento’ decretato dalla Giunta regionale lucana in seguito alla fuoriuscita di fumi rossastri lo scorso 2 novembre. La proprietà, in quell’occasione, si era difesa in modo poco scientifico, sostenendo che quei fumi derivavano dalla “presenza anomala di iodio” nei rifiuti. Una giustificazione “troppo generica” e non corroborata da “dati certi”. Per questo la Giunta regionale lucana l’8 dicembre ne aveva decretato lo stop provvisorio fino a quando non fosse stato chiarito il motivo di quei fumi e di quelle emissioni. Ora però ci ha pensato il Tar a riavviare il forno rotante, da molti considerato a ragione, la causa di tanti avvelenamenti e contaminazioni in passato. Già, perché sull’inceneritore di S.Nicola di Melfi è in corso un’inchiesta giudiziaria partita nel 2011 per disastro ambientale. Sedici le persone rinviate a giudizio, tra cui l’ex direttore (Sigillito) e un dirigente (Bove) dell’Arpab più due dirigenti della direzione Ambiente rispettivamente della Provincia di Potenza (Santoro) e della Regione Basilicata (Lambiase). Sui dirigenti dell’Arpab pende l’accusa di aver conosciuto ma taciuto sui dati allarmanti di Fenice tra il 2002 e il 2007. Per i dirigenti Santoro e Lambiase l’accusa invece è di abuso d’ufficio. Messi a conoscenza dell’inquinamento delle falde idriche perpetrato da Fenice avrebbero potuto imporre lo stop all’azienda fin quando non si fossero ripristinate le condizioni di “normalità”. Ma non l’hanno fatto. L’inchiesta giudiziaria è partita nel 2011 e siamo appena entrati nella fase dibattimentale. Ma nel frattempo Fenice ha continuato ad inquinare. Manganese, floruri e altre sostanze chimiche e cancerogene rilevate dall’Arpab, continuano a scorrere nella falda sottostante. Nonostante tutto, però, lo scorso 15 aprile la Regione Basilicata ha concesso la autorizzazione integrata ambientale ai ‘presunti inquinatori’. Un’autorizzazione che tra le prescrizioni prevedeva proprio una riduzione delle emissioni impattanti, il controllo delle diossine grazie all’ausilio dell’Arpa Puglia e la partenza di un’indagine epidemiologica sulla popolazione della zona. Per giusta risposta Fenice ha continuato a ignorare quanto fosse previsto. Ai tecnici dell’Arpab, che dopo le emissioni del 2 novembre scorso, chiedevano report precisi e dati, l’azienda ha fornito solo spiegazioni “generiche”. Forse quell’Autorizzazione ambientale, da parte della Regione, è stata data con troppa superficialità. In sostanza si è fornita la patente per continuare ad inquinare. E il Tar di Basilicata, da parte sua, ha riacceso Fenice. Il disastro ambientale può proseguire!