Catania (Sicilia) 15 giugno 2016

“TTIP” : questo sconosciuto

Cos’è il TTIP? Ed il WTO? La NATO? L’ONU? La Banca Mondiale? Il FMI? ecc.
Quanti di noi, da sempre costretti a convivere con sigle e acronimi che non dicono nulla, si sono mai presi la briga di indagare, per sapere cosa ci sia veramente dietro gli statuti di organizzazioni nazionali, trans-nazionali o internazionali, che continuano, nel disinteresse e nel silenzio dei media ad interferire pesantemente sulla nostra vita di tutti i giorni?.
La giungla delle sigle, sempre più (volutamente) rese incomprensibili non ha mai fine; ad esempio che cosa è la Commissione Europea? Eurostat? Ed ancora che cosa sono l’Ispi, Iai, il Brookings Institution, Chatham House, Carnegie Endowment for International Peace? Che cosa sono i Think Tanks? Boh!
Torniamo al TTIP. Tutti sanno, ormai, che il TTIP è un accordo “commerciale” tra USA ed UE teso alla completa liberalizzazione dei mercati tra i due continenti. Con quale obiettivo? Ma un “nobile” obiettivo, ovviamente..creare un mercato più vasto che inglobi i cittadini americani ed europei; un mercato senza lacci e laccioli che possa permettere il libero scambio di beni, servizi e capitali; un mercato che consenta di delocalizzare le imprese e favorire la movimentazione delle risorse umane, favorendo una massiccia emigrazione delle classi lavoratrici, verso paesi in cui le condizioni di produzione siano più favorevoli alle grandi imprese multinazionali.
Tutto questo dunque (secondo il mantra ufficiale) per facilitare il “rilancio dell’economia”, ormai stagnante in gran parte dei paesi occidentali filo-liberisti, creando dunque più lavoro, più ricchezza più consumi, in una parola benessere. L’unica critica che i media ci propongono sui presunti rischi che deriverebbero da un accordo sul TTIP è quella fondata sull’ invasione di prodotti agroalimentari USA, di scarsa qualità e senza adeguati presidi, che gli europei rischierebbero di subire, a causa della maggiore competitività delle imprese americane rispetto a quelle europee. Tutto vero ma…….è tutto qui? E’ solo questo il problema? A 16 anni dall’introduzione dell’euro, chiunque si rende conto delle conseguenze nefaste che un simile accordo avrà sulle già debolissime economie delle nazioni del Sud-Europa, i cosiddetti PIGS (altra misteriosa sigla) costretti dall’euro a subire il mercantilismo tedesco e già pronte a diventare stavolta facile preda delle esportazioni made in USA; pagate sempre con un maggiore indebitamento dei cittadini, destinati a diventare, per questo, sempre più poveri. Altro che rilancio dell’occupazione..e con quali garanzie sul posto di lavoro? Con quale salario?. A nostro avviso, l’aspetto più grave del problema è che lo stesso TTIP continui a passare come un “accordo commerciale”, altro non è che un grimaldello per aprire la porta al commercio globale senza vincoli, norme e tutele. La via ancora una volta dell’oro contro il sangue. E la storia ritorna. Per addentrarci su tutto ciò, prendiamo ad esempio gli argomenti trattati in un libro di Carlo Pelanda, economista e docente universitario, esperto in Geopolitica economica e avvezzo alle università americane, dal titolo “Nova Pax” e sottotitolo “La riorganizzazione Globale del Capitalismo democratico”. I titoli di alcuni capitoli di questo libro, sono utili per comprendere meglio il campo in cui stiamo per addentrarci:
Cap 1- Scopi, storia ed evoluzione del progetto Nova Pax;
1.1- un progetto ventennale;
1.2- un progetto che sta diventando realtà;
cap. 2 – La costruzione della libera comunità come mercato globale delle democrazie;
1.2 – TTIP e TTP come precursori concreti del mercato globale delle democrazie.
Titoli e sottotitoli già anticipano il tema del libro da cui scaturiscono gli indirizzi che poi vengono dati da questi accademici (economisti alla mercé degli Atenei finanziati dalle lobby della grande finanza mondiale e quindi loro dipendenti) sulla geopolitica da seguire, ai politici-governanti delle potenze economiche (democratiche) occidentali. Per spiegarci meglio dobbiamo fare un passo indietro. Tutti quanti sappiamo e sentiamo in tutti i telegiornali degli acquisti che i Cinesi fanno ormai da anni sui mercati di tutto il mondo; tutti ci parlano del mirabolante salto in avanti compiuto dall’economia cinese che cresce o è cresciuta fino a poco tempo fa al ritmo di due cifre decimali, esaltandone il merito dei mercati e dell’ economia capitalista. Perfino in Italia i fatti ci dicono che “i Cinesi“ hanno fatto acquisti, decine i marchi del made in Italy che in questi anni sono passati sotto il controllo cinese; quote di capitale in cassa depositi e prestiti e aziende del calibro della Pirelli, se non addirittura di aziende strategiche per la nazione. Quello che però nessuno ci dice è che la strategia di investimenti globale cinese è altamente rappresentativa di un modello economico da essi avviato al volgere del millennio: l’economia socialista di mercato, la quale non ha nulla ha che vedere con il modello liberale e capitalista. Nella gestione di programmi diversificati di investimento e acquisizione all’estero, la Cina ha conservato il ruolo centrale dello Stato, che si riserva la decisione finale da prendere in base alla corrispondenza con gli interessi della strategia nazionale, la quale è incentrata su due obiettivi: il primo consiste nel garantire le materie prime necessarie al funzionamento dell’economia, il secondo è individuabile nell’acquisizione di tecnologie che possano garantire il progresso qualitativo dell’industria. Capite adesso che cosa intende Pelanda quando parla di “mercato globale delle democrazie”?. Quello che è in ballo, oggi come ieri, è la formazione di due schieramenti o se volete di due “Mercati” o di un unico Mercato globale nel quale si fronteggiano due filosofie avverse sulla concezione dello sviluppo economico, una basata sull’economia sociale di mercato a cui fanno riferimento i due colossi capo fila cioè Cina e Russia, l’altra sul capitalismo finanziario di matrice neocom. (quello che stiamo vivendo oggi sulla nostra pelle) rappresentata dal blocco Anglo-Americano e dei sui alleati.
Scopo degli “Alleati” dunque non è il miglioramento delle condizioni economiche dei “sudditi” occidentali ma, come 77 anni or sono, l’aggressione con tutte le strategie possibili, principalmente a carattere economico e politico, di tutte quelle nazioni in cui si ritiene che lo “Stato” (nemico assoluto dei neocom) gestisca le risorse e le politiche economiche, secondo una strategia che preveda l’interesse nazionale e della popolazione prima che quello delle imprese multinazionali e dei mercati. Ecco che la storia ritorna, oro contro sangue. Ci risiamo!
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Segreteria Provinciale CT
Movimento Sociale FT