Brembio (Lombardia) 03 agosto 2015

Assemblea pubblica a Brembio: the day after

All’assemblea pubblica sull’emergenza profughi a Brembio hanno risposto in termini di presenza meno di cento cittadini. Ripetutamente conteggiati i presenti nell’ambito del perimetro della Festa de l’Unità possiamo dire che per almeno un’ora la media delle presenze si aggirava sulle ottanta persone. Più d’uno, il giorno dopo, ha criticato l’ambito della riunione, un’area destinata ad una festa di partito; a Brembio, certo, contano ancora molto vecchie divisioni, e la location, come si dice oggi, può aver contribuito. Qualcuno questa mattina ha aggiunto che se l’assemblea si fosse tenuta in Piazza Matteotti l’affluenza sarebbe stata diversa. Piuttosto, invece, sono state sicuramente le modalità di informazione dell’evento a giocare sul basso numero di cittadini che si sono fatti coinvolgere. Da tempo a Brembio solo in caso di elezioni si è soliti distribuire col porta a porta avvisi e volantini per comunicare l’organizzazioni di manifestazione, preferendo negli altri casi l’affissione nei negozi e locali pubblici, una modalità che taglia fuori un fetta consistente di popolazione.
La seconda osservazione è che l’assemblea non è stata preparata nei giorni precedenti, se non, come si è letto sul quotidiano Il Cittadino, annunciandola “in queste sere nel corso della locale festa dell’Unità”. In ambito ristretto, dunque, ma comunque nessuna anticipazione ufficiale è stata fatta dei motivi che avevano portato l’amministrazione ad indirla. Eppure erano giorni che si conoscevano gli eventi, stante gli incontri in prefettura, di cui è stato detto nel corso dell’assemblea, e di cui si è letto nella stampa, i colloqui telefonici che sicuramente ci sono stati, e quant’altro che è prassi comune in simili situazioni, e di cui negli interventi si è fatto accenno involontario.
Certamente in paese giravano da giorni indiscrezioni sulle quali si almanaccava, difficile mantenere la segretezza su qualcosa che può avere un pesantissimo impatto sulla comunità. Ed è stata proprio l’assenza di comunicazioni ufficiali, non la presenza di indiscrezioni, per così dire, a contaminare i pozzi, creando quella palpabile diffidenza degli intervenuti verso quanto si sentiva dire da chi sedeva al tavolo.
E non bastava la contrarietà espressa dagli amministratori che via via prendevano la parola, minoranze comprese, verso l’inserimento in paese di una trentina di “richiedenti asilo”, a rasserenare gli animi, liberandoli da timori, preoccupazioni, e da quella sensazione diffusa, che aleggiava nell’aria, di essere, comunque, presi in giro. Non aiutavano le contraddizioni stesse nei discorsi che si sentivano, come quella riguardante la onlus che ha presentato la sua partecipazione alla gara, che non era dato, da prima, di conoscere quale fosse, se non che operava in Lodi, che “né il prefetto né il proprietario” conoscevano, per poi dire che suoi rappresentanti si erano dichiarati disponibili a partecipare all’assemblea, ma che il comune aveva detto di no perché era meglio che la questione fosse discussa senza interferenze dall’esterno. Ed alla fine, in “zona Cesarini” se ne era fatto, come si dice, nome e cognome. L’opposizione comunale alla sua presenza non ha aiutato, ma già in assemblea ha suscitato dubbi “complottisti” in più d’uno dei presenti, ribaditi oggi nei chiacchiericci da bar o piazza.
Per non dire poi il balletto delle cifre su cui l’amministrazione era disponibile a dare il suo assenso, da prima 2, 3, come scritto nella lettera inviata il 25 luglio al prefetto, poi 5, per poi finire a 9 o “comunque meno di 10”. Ed ancora il mancato commento sul fatto che stiano già arrivando nel condominio materassi e arredi, testimoniato da più persone, che ha fatto dire a qualcuno oggi che già vi fosse una famiglia di migranti ospitata.
Non ha aiutato a rasserenare gli animi il fatto che dopo i primi interventi del pubblico che esprimevano indisponibilità all’accoglienza in paese, si siano verbalmente aggrediti cittadini, anche sul piano personale, che esprimevano magari in forma troppo decisa la propria negazione, piuttosto di provare a spiegare loro che sbagliavano. Un’insofferenza tipica, è stata l’impressione, di chi è abituato ad avere un pubblico di plaudenti, e che trova difficoltà a reggere un contraddittorio fermo senza trascendere.
Un’assemblea di pochi, che poco ha prodotto, che si può tranquillamente archiviare come un’occasione persa di condivisione con i cittadini di un problema. Certo, si sono minacciate le dimissioni da prima del sindaco e poi qualcuno ha accennato alla possibilità di quelle in massa del consiglio comunale qualora il prefetto imponga i numeri indicati (25, 30). Lo si faccia. Un gesto formidabile che, pur non risolvendo nulla, dimostrerebbe che si ha a cuore gli interessi della popolazione residente e la qualità di vita in un paese, che la crisi ha reso senza prospettive di sviluppo economico e sociale.
Qualcuno, infine, oggi ha fatto questa osservazione: se l’amministrazione non si è dimostrata in grado di risolvere un problema, trascurabile in fin dei conti rispetto a quello dei migranti, del degrado di Piazza Europa, e gli ultimi vandalismi contro il magazzino comunale ne sono la testimonianza del suo perdurare, cosa potrà mai fare se l’inserimento in paese di una concentrazione insostenibile di migranti procurerà una situazione come quella denunciata dagli abitanti del quartiere di Selvagreca a Lodi; una domanda che oggi può avere una sola risposta ovvia.
Nei discorsi che si sentivano questa mattina, soprattutto da donne, sta montando una preoccupazione diffusa, e cresce il timore, per il possibile crearsi di situazioni di degrado sociale, dovuto ad una consapevolezza che ormai è quasi certezza un inserimento concentrato di profughi in paese. Non è una buona cosa che la paura prenda piede: è qualcosa, questa possibilità, su cui riflettere seriamente.