Dopo la caduta del muro di Berlino, i generali hanno deciso di abbattere le loro riserve chimiche, le sorprese non sono mancate. Tutti i governi italiani avevano negato la presenza di gas bellici sul territorio nazionale; Giulio Andreotti nel 1985 lo aveva addirittura ribadito davanti al Parlamento. E invece esistevano almeno tre bunker, ripuliti poi nel massimo segreto. Il più importante era sul lago di Vico. Un’installazione colma di misteri e pericoli: durante i lavori nel 1996 una nube di fosgene è scappata via e ha raggiunto la strada, aggredendo un ciclista. Quell’uomo è l’ultima vittima europea delle armi chimiche. Solo nel 1997 si è scoperto che l’Esercito aveva messo da parte almeno 150 tonnellate di iprite del modello più micidiale, mescolata con arsenico. In più c’erano oltre mille tonnellate di adamsite, un gas potentissimo ma non letale usato contro le dimostrazioni di piazza. E 40 mila proiettili chimici. Per neutralizzarli è stato creato un impianto modello a Civitavecchia che imprigiona le scorie velenose in cilindri di cemento. La fabbrica di pace lavora senza sosta dal 1993 e continuerà a farlo almeno fino al 2015. Lì i cilindri di cemento all’arsenico, custodi testamentari del delirio chimico, continuano ad aumentare: sono già molte migliaia, in attesa che venga individuato un deposito definitivo dove seppellirli. Speriamo che, forse un giorno qualcuno si porrà il problema delle discariche sottomarine. Gli ordigni seminati dagli americani sono spesso a pochi metri di profondità: un incredibile self service per qualunque persona, che potrebbe mettere le mani sulle armi più potenti per scatenare l’apocalisse. Abbiamo invaso l’Iraq per cercare le armi di distruzione di massa, invece sarebbe bastato tuffarsi nelle acque di Molfetta o di Ischia per trovarne a migliaia. Arrugginite fuori, micidiali dentro.
Attività in corso per il recupero delle armi chimiche.
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