Caserta (Campania) 31 marzo 2017

Caritas di Caserta, clero e politica: triade disinformativa

Clero, politica e Caritas di Caserta: un pasticcio di fuorviante disinformazione che strumentalizza l’Africa.

Pochi guadagnano sulla pelle di tanti. E’ questo il mantra di quanti sostengono la scriteriata accoglienza di massa con la benedizione di taluni influenti sacerdoti che presiedono le sedi locali della Caritas. Una realtà, quest’ultima, sempre più partecipe nelle politica che, attraverso il suo portavoce Forti non risparmia critiche al decreto Minniti Orlando su rimpatri ed espulsioni per i non aventi diritto. Eppure, nell’attuale contesto globale ed internazionalizzato, la sfera d’azione di sacerdoti ed associazioni dovrebbe ampiamente valicare gli angusti confini locali e i chiassosi distretti periferici per raggiungere i reali epicentri della sofferenza e gli effettivi focolai delle brutture umane, almeno nelle chiacchiere. Ma così non è stato a Caserta. Non una sola parola sparuta, isolata, casuale, stentata. Neppure un blando riferimento di circostanza sospinto dall’umana carità od una frettolosa citazione proferita con religioso rispetto. Non un solo frammento di sillaba scandito sul “land grabbing” e sulla efferata cacciata di intere comunità africane dai loro territori indotta da speculazioni e tornaconti di governi vari, potentati e fameliche multinazionali. Niente di niente. Dopo qualche settimana dagli scontri di piazza Pitesti costati a Caserta un’ineffabile e vergognosa figuraccia dinanzi alla comunità internazionale per l’assalto compiuto ai danni di Luca Abete e della sua troupe televisiva da tre disperati e dissennati ambulanti di colore, il capoluogo di Terra di Lavoro non sa fare altro che blaterare di “accoglienza incondizionata” e di “Modello Caserta”. Un presunto “modello esemplare” osannato durante la conferenza sull’immigrazione presieduta da esponenti nazionali del partito radicale come Emma Bonino e dalla Caritas locale tenutasi a Caserta sabato 18 marzo scorso. Secondo intellettuali e liberi cittadini refrattari ai cacofonici clamori tuonati dalle poltrone e dai pulpiti all’ultimo grido il modello Caserta non è altro che il vaneggiamento delirante di ambiziosi sofisti che del “Buon Pastore” hanno ben poco. Secondo alcuni arguti osservatori il “modello Caserta” riferito all’integrazione fra cittadinanza locale ed immigrati sarebbe solo uno slogan astratto e puerile come l’allegoria sui “gatti neri” e sui presunti pregiudizi inerenti il colore della pelle interpretata in una deprimente gag da impacciati figuranti di quart’ordine intervenuti al succitato convegno. Stando ad alcuni educatori campani che criticano a ragion veduta il tenore della predetta conferenza, chiunque voglia incautamente avventurarsi nella sciagurata impresa di sostituire il termine “integrazione” con quello di “inclusione” per quanto concerne gli immigrati commetterebbe un pericoloso azzardo ed una stucchevole forzatura lessicale avulsa dalla nuda logica. Non è difatti auspicabile alcuna verosimile inclusione sprovvista di una preventiva e definitiva integrazione di socialità locale. Non sono dunque ammissibili forme inclusive coattive degli immigrati che prescindano in buona sostanza dagli innumerevoli squilibri territoriali esistenti. Incongruenze gravissime che la stessa Chiesa ha implementato (fatte salve rare eccezion), d’intesa con le istituzioni locali attraverso la proliferazione di assensi, oppressive prelazioni ed umilianti clientele. Non è casuale che prolifichino in omertoso silenzio insidiosi dissidi sociali, lavorativi e culturali fra disperati e derelitti appartenenti a differenti etnie grazie al placet e all’apatia di rappresentanti ecclesiastici e governativi. Se l’inclusione che i rutilanti leaders della Caritas di Caserta vorrebbero sdoganare tacitamente dovesse rappresentare solo un occhiuto escamotage per sottacere il “land grabbing” africano e i cocenti drammi della Campania, semplificati e ridotti a comoda dimensione strutturale, allora la misericordia rischierebbe di tramutarsi in una virtù estremamente “pelosa”. E’ fin troppo agevole, difatti, ostentare un apparente simulacro di umanità e benevolenza celando ipocrisia e avidità dietro la “peluria” della disinformazione fuorviante e dei luoghi comuni. Purtroppo è convinzione diffusa che pochissimi esponenti del clero casertano, pochi vassalli e lacchè in abiti civili e paramenti sacri si siano fattivamente spesi per i problemi basali dell’Africa e del suo popolo, se non per ambigue parvenze legate alle proprie rendite di posizione. L’Africa è il primo continente per accaparramento fraudolento di terre che, oltre a restringere drasticamente le aree destinate alla coltivazione e all’allevamento delle popolazioni locali compromette irreversibilmente la sicurezza alimentare, la distribuzione degli alimenti e la sostenibilità di tutto il Pianeta. Anteporre incondizionatamente l’inclusione degli immigrati a qualunque indispensabile forma di preventiva perequazione sociale e responsabilizzazione istituzionale, come vorrebbe la Caritas, è un avventuroso disegno certamente più prossimo alla politica monolitica e monodirezionale che alla carità cristiana. Sarebbe un imperdonabile schiaffo alla dignità umana lasciar prevalere le distrazioni inerenti l’integrazione forzata imposta dalla Chiesa locale sulle piaghe delle terre africane e campane arse dai veleni della chimica e dell’indifferenza. A prescindere dalle considerazioni suddette, fa molto riflettere l’osmosi politica dell’ ordine sacerdotale locale, le cui profondissime tracce sono vividamente custodite negli archivi storici e negli annali sin dal lontanissimo Medioevo. A quell’epoca vescovi e prelati casertani solevano spartirsi prebende e lucrare abilmente sui sontuosi beni immobili e le estese proprietà ricevute in dono dai sovrani normanni. Dunque, il clero casertano non ha mai interrotto la sua virale tradizione politica e affaristica, sin dal lontano 31 dicembre 1562. A quell’età il vescovo Bellomo in una nota missiva destinata al conte Baldassarre Acquaviva di Caserta prometteva di svendere al nobile locale i casali di Pozzovetere e Puccianiello allo scopo di trarne prestigio e benefici personali. Ma è bene rammentare che nel corso della storia è stato necessario più volte inibire la virale tradizione politica e affaristica della Chiesa. Fu Federico II, imperatore del Sacro Romano Impero, a liberare la Chiesa dalle ipertrofiche sbavature egemoniche di vescovi e prelati, generando stupori che il tempo dovrebbe riproporre più spesso.