Caserta (Campania) 22 febbraio 2016

Cittadini a scuola di ignoranza e povertà

Sui manuali di diritto e legislazione sanitaria si celebra a suon di campane l’avvento della Costituzione per solennizzare il presunto carattere pubblico attribuito alla sanità. Ma cosa è un bene pubblico? Stando ai più accreditati manuali di scienze delle finanze ad uso delle maggiori università italiane, un bene è “pubblico” se è dotato di “indivisibilità” e “non rivalità”, due caratteri imprescindibili. Ciò testimonia che un servizio è da ritenersi di fruibilità collettiva allorquando non è necessario “suddividerlo” in tante minuscole frazioni per attribuirne la disponibilità. Inoltre, il carattere pubblico implica che l’utilizzo di un bene e di un servizio da parte di un individuo è assolutamente e integralmente condivisibile con altri soggetti, non escludibili. Purtroppo, l’evidenza empirica mostra che lo Stato, una bestia sempre più affamata di risorse e carne viva da ingurgitare senza pietà, nega penosamente se stesso e tutte le sue balorde pretese di superare i concetti ouri e cristallini di solidarietà e assicurazione sociale riconducibili agli anni precedenti il 1948. Quasi certamente l’unico plausibile fondamento “pubblicistico” della sanità e di altri servizi statali è riferibile agli enti di diritto pubblico, le istituzioni, che li gestiscono e li smistano alla carlona, seguendo logiche aziendali sottese al tornaconto personale e alla massimizzazione del profitto di ristrette oligarchie politiche. Non è un caso che le mappe dirigenziali di ASL e ospedali, unitamente ai supporti di organi collegiali e contabili sanitari dipendano esclusivamente dai dictat delle giunte regionali. Queste, stando a precisi teoremi di scienze delle finanze, matematicamente dimostrabili (teoremi dell’impossibilità di Arrow, dell’elettore mediano e teoria dei clan) non soddisfano esigenze sociali collettive, bensì meri interessi elitari. Dopo decenni di avanzo primario di bilancio costituito, com’è noto, dalla iniqua prevalenza degli introiti fiscali sulla qualità discendente della spesa pubblica, l’unico lucido giudizio sul decadente operato governativo promana dalla Corte dei Conti che, ancora una volta, denuncia la pessima qualità dell’intervento statale. Welfare e stato sociale dipendono, infatti, dalla gestione malefica e sconsiderata di un sistema istituzionale famelico di pervasive egemonie, costituito da apparati deliranti inclini all’asservimento incondizionato della popolazione attraverso il peggioramento della qualità della vita e il ridimensionamento drastico e irreversibile di aspettative e stimoli produttivi. Se da una parte il popolo arranca nell’indigenza programmata e nella miseria indotta dal fisco, dall’altra naufraga e bivacca nell’ignoranza siderale. Del resto disimpegno, disinformazione e spensieratezza sedimentano comode forme di sudditanza supina che neppure le dittature più atroci potrebbero ingenerare. Perché mai l’istruzione dovrebbe sottrarsi allo scadimento se la linea guida del governo è l’approssimazione e la becera degenerazione? E’ un dato di fatto che l’istruzione pubblica è avvitata da decenni su se stessa e sugli interessi di cerchie di burocrati che si spendono quotidianamente per divulgare una tipologia di insegnamento che è l’antitesi dell’istruzione costruttiva vera e propria. Per non parlare di alcune università elevate a presidio di corrotti potentati e mercimoni di clientele dai quali fuoriescono scelte accademiche a dire poco devastanti. In tutta Italia pullulano istituti scolastici dai più disparati indirizzi nei quali lo studente è spesso abbandonato al suo tragico destino di incompetenza. Difatti, il rispetto dei programmi scolastici lascia sempre più spesso il tempo che trova ed è relegato ad opportunismo, cavilli didattici e dispersive strategie che, nella migliore delle ipotesi, ne consentono lo sviluppo parziale. In molte classi si ripropongono iter didattici riferibili ad uno, due anni precedenti, vuoi per sciatteria dei docenti, vuoi per inettitudine, astensioni reiterate e disinteresse degli stessi. Del resto la minestra riscaldata è un piatto che non comporta troppe spese ed è salutato frequentemente con massiccio entusiasmo da professori attivi come rami secchi e macilenti. Lo stesso entusiasmo che induce dirigenti scolastici e docenti autoreferenziali a promuovere iniziative infelici, penose, deplorevoli e sottoculturali, il cui unico fine è quello di osannare l’ozio e l’inettitudine giovanile, sino ad elevare corruzione, disvalori, contaminazione, spersonalizzazione e dissolutezza a veri e propri principi morali. Del resto la scuola è una cartina al tornasole della caduta verticale di credibilità di amministratori e maestranze che ristagnano in vetrine attraenti e rutilanti come merce rancida e stantia pur di indurre il pubblico a scelte squallide, fuorvianti e disdicevoli.