Educazione alla Felicità
Le cose migliori si ottengono solo con il massimo della passione. W. Goethe
In todo unificato all’essere – il principio per il quale non riusciamo ad accontentarci si racchiude nella parola “ostinazione” – questo stato ci rende capaci di uccidere, di creare, di amare, di compiere atti temerari. La sopravvivenza vince sulle virtù? Sull’amore? Sui sacrifici che un amore comporta o una causa oppure un ideale?
Quando scrivevo che l’Umanità è giovane, non lo facevo con lo scopo di forzarla a maturare ma di concentrarsi su quello che ogni giovane esistenza farebbe ovvero sperimentare le proprie virtù e le proprie verità non accontentandosi di accettare quelle degli altri. Sbizzarrirsi nel comprovare vie alternative per raggiungere il medesimo risultato. Siamo mammiferi suscettibili e diffidenti ma che se animati da una certa scintilla – si entusiasmano! Ebbene chi oggi nel 2016 cerca ancora in se stesso “la scintilla” e le da credito? Beh ci fosse una sola persona io le consegnerei parte della mia anima pupilla e avida di apprendere nuove cause capaci di portarmi gioia. L’ignorare il male che uni fanno alla propria felicità è un atto di tolleranza verso il male, verso una cecità spirituale che presto ci porterà via persino ai nostri sogni.
La vera tragedia è che ci occupiamo troppo poco della nostra felicità. Il nostro lato egoistico compensa con fattori e bisogni che non soddisfano il lato emotivo del nostro essere ma solo quello vegetativo. Siamo davvero indispensabili a noi stessi? Ovvero perché non creiamo quello status di sicurezza in cui il nostro io possa sentirsi libero di esprimersi?
La gioia è una vittoria sul ripetersi quotidiano. I momenti di vera felicità si contano sulle dita eppure sono indispensabili al nostro crescere poiché il benessere ci rende forti e capaci di ogni cosa e persino tolleranti.
La gioia non da noia .- e il non valore delle azioni nella gioia che spesso manifestano una sorta di mediocrità. In fin dei conti non possiamo dare sempre il massimo, abbiamo necessariamente bisogno di sbagli per imparare, per migliorare per dare uno schiaffo alla storia.
Dalla storia dovremmo recepire il valore per l’espressione della libertà dell’uomo. Il valore dell’amore per se stessi e per gli altri. Com’è che tutti professiamo questo ardore ma pochi sono veramente in prima linea? Perché siamo comodi nel nostro divano, davanti alla nostra televisione, nella nostra auto e nei nostri abiti puliti? La sofisticazione spinge spesso alla banalità. Come uscirne? Come dire agli altri, prendi il mio talento, la mia professione, la mia vita dedita a quei precisi ideali e condividere? Non si dice –poiché nessuno ascolta ma si fa. Diventa l’opera non proporzionata alle forze che ci metti per crearla ma all’interesse e al godimento che altri ne hanno quando si interessano ad essa. (L’uomo rimane importante non perché lascia qualcosa di se, ma perché agisce e gode e induce gli altri ad agire e godere. Goethe)
Il nostro interesse al bene non deve essere smisurato ma ponderato – poiché il bene spinto per interesse proprio non genere bene ma solo disaccordo ed è fonte di puro egoismo. In fondo l’atto di gioia è un atto grandioso solo e se condiviso. L’amore, il perdono, la compassione sono gesti che seminano a loro volta e non sono frutti di cui si coglie sul momento il dolce.
La vera miseria dell’essere nasce dalla noia, dalla non forza di voler lottare per i propri ideali, per la propria felicità. Noi non dobbiamo tollerare poiché dobbiamo avere il coraggio di un giudizio di una forma del nostro essere. G. scriveva tollerare è pari all’offendere. Allora perché non esprimiamo noi stessi, perché non diventa una abitudine farsi l’uno con l’altra coraggio e manifestare pubblicamente questa forza?
La nostra tragedia è di dedicarci mediocremente alla nostra felicità. Cosa produce in noi la resilienza? Cosa ci indica la via all’opera giusta e al divenire di un sogno?
Quale anima non rifugge la solitudine e chi ama molestare le proprie attese, le proprie gioie?
Con questo corpulento dubbio io fuggo dal silenzio. Non sono per la fredda tomba dell’essere, restare davanti alle pietre a osservare la storia umana o come in noi la scintilla si spegne. Io sono per la vita in ogni suo totale, ogni battaglia fatta o portata avanti con tutte le risorse – se quella battaglia è per un ideale, un sogno, ciò che più amiamo al mondo. La nostra tragedia è di non educare le nostre menti alla felicità, al cedere, al chiedere perdono, a dire semplicemente grazie. Se in una mattina qualunque, una mattinata fredda di dicembre, i vostri piedi scalzi nonostante il pavimento ghiacciato, potessero danzare invece che trascinarsi e le vostre labbra aprirsi in uno stupido sorriso, non è vero che vi sentireste innamorati di qualunque cosa in quel momento vi abbia portati ad abbracciare una strana gioia? Non è vero che a volte smarrire il controllo di quelle emozioni ordinate fa sentire liberi o almeno sembra rendano meno inutili quelle ali dentro che non siete mai stati capaci ad usare? Educare la mente alla felicità significa potere dare un senso al battito del cuore. Non è vero che offrire un abbraccio è molto più bello che riceverlo? Nemmeno l’inverno ha il potere di togliere a chi apre le porte del cuore, la forza che questo ha di portare avanti i grandi sogni.
A parte l’uomo, tutti gli animali sanno che lo scopo principale della vita è godersela (Samuel Butler