Chieve (Lombardia) 31 luglio 2015

Emergenza nell’emergenza, la parrocchia mette una pezza

Il piccolo comune cremasco di Chieve sta vivendo sulla sua pelle una situazione che potrebbe essere domani quella di Brembio. Per un accordo diretto tra prefettura di Cremona ed un privato, una immobiliarista milanese titolare dell’Immobiliare Giuseppina Costruzioni di Chieve, in una palazzina del paese sono ospitati 43 “richiedenti asilo”. Gli arrivi sono iniziati la scorsa settimana. La stampa cremasca è stata prodiga di articoli sulla vicenda, una vicenda che potrebbe essere per Brembio un utile strumento per capire i problemi che un inserimento effettuato solo per il business di un privato può comportare. Altro che dichiarazioni che trovano il tempo che trovano, come quella che si legge sulla lettera inviata al prefetto di Lodi a firma della giunta e di quasi tutti i consiglieri comunali compresi i capigruppo di minoranza; che dice, esprimendo la propria contrarietà all’iniziativa dell’imprenditore che si è offerto di accogliere una trentina di migranti in una palazzina ubicata nel centro di Brembio, che l’amministrazione non intende assumersi in ogni caso alcuna responsabilità né oneri.
La Provincia, in un articolo del 28 luglio, riporta le parole del parroco di Chieve, don Alessandro Vagni che racconta la richiesta di aiuto avanzata il giorno prima da tre dei migranti ospitati nella palazzina di via San Rocco di proprietà dell’immobiliarista milanese: “Siamo senza cibo e assistenza, mi hanno detto, e hanno chiesto aiuto”. Da quando scrive il giornale, non era la prima volta, ma questa volta si sono spinti fino alla piazza del paese per parlare col parroco, che ha aggiunto: “Hanno lamentato la mancanza di cibo, acqua corrente, metano e assistenza in genere”.
Che l’emergenza dovuta ad un’accoglienza fondata sul business di un privato non rimane, dunque, confinata nel recinto della proprietà privata che ospita i migranti, ma coinvolge la realtà di tutta la comunità. Don Vagni stesso ha spiegato: “Abbiamo affrontato il problema, acquistando per tutti e 43 i profughi del pane fresco e attingendo al magazzino della Caritas parrocchiale, per offrire carne in scatola, minestre ed altro cibo ‘pronto’, che possano consumare subito”, aggiungendo però che difficilmente più di questo potrà essere fatto. Secondo lo stesso giornale, anche altri migranti erano stati visti dai residenti davanti alla banca che “ripetevano di avere fame e chiedevano denaro”.
Oltre al racconto del parroco l’articolo riporta anche le dichiarazioni dei due organizzatori della manifestazione di piazza di lunedì scorso: “A Chieve non si sta offrendo un’occasione, ma un’imposizione. Una proposta si può accettare o rifiutare e non è andata così. Ai chievesi viene chiesto di cambiare mentalità. Perché? A seguito della decisione di un privato che non ha nulla a che fare con Chieve se non per attività commerciali? E accoglie qui, non dove risiede? Sarebbe più facile chiedere al singolo di cambiare idea, che ad un paese”.
L’immobiliarista milanese aveva assicurato al prefetto di avere intenzione di stringere accordi col Comune per un impiego dei migranti in lavori socialmente utili. “A quale prezzo?”, si chiedono i due organizzatori della manifestazione di lunedì sera. “Togliendo lavoro a chi già collabora oppure sorpassando la lista di chievesi disoccupati che si renderebbero più che disponibili per 35 euro al giorno?”.
Il sindaco di Chieve, Davide Bettinelli, in dichiarazioni raccolte dalla stampa ha ribadito “che si tratta solo di business: 35 euro al giorno a persona, la proprietà deve garantire vitto e alloggio, pulizia e mediazione culturale (corso di italiano) dando a loro 2,50 euro al giorno. Quindi è solo business, fate voi i conti”.