Napoli (Campania) 21 giugno 2015

I CULTI ORIENTALI

La regio Nilensis, ubicata nel settore occidentale della città, tra S. Domenico Maggiore e S. Gregorio Armeno, sembrerebbe essere stata la sede di alessandrini, trasferitisi in città sin dall’età ellenistica. Tra le testimonianze più evidenti è sicuramente la statua del dio Nilo che rappresenta per Napoli una sorta di “statua parlante”, simbolicamente definita “Corpo di Napoli”.
Recuperata nel XII secolo priva della testa, venne ritenuta per molto tempo una statua femminile materna a causa della presenza di numerosi puttini, soggetti in realtà simboleggianti la fertilità determinata dalle inondazioni delle acque del Nilo.
Soltanto nel corso del ‘600 la statua venne giustamente identificata e restaurata integrandone la testa barbata maschile, secondo il modello del Nilo esposto ai Musei Vaticani. Essa può essere datata nell’ambito del II secolo d.C.
In epoca antonina è ascrivibile la statua di Iside, in marmo bigio morato, che forse proviene dalla stessa zona.
A questa si può aggiungere la testimornanza rappresentata dalla base dedicata ad Iside da Opsio Navio, databile al I secolo d.C., per una statua raffigurante Apollo-Horos-Harpokrates.
Tali ritrovamenti inducono ad ipotizzare la presenza di un Iseo in città e testimoniano, analogamente ad altri centri campani, il legame con l’Egitto, determinato dai forti traffici commerciali.
Dalla crypta neapolitana proviene invece il bassorilievo raffigurante Mitra Tauroctonos, della fine del III-inizi IV secolo d.C., che insieme alla decorazione in stucco da Carminiello ai Mannesi e al rilievo con Mitra, ora a Bruxelles, di cui è ugualmente proposta una provenienza napoletana, rappresenta una cospicua testimonianza dell’affermazione di questo culto a Napoli.

Rilievo raffigurante Mitra tauroctonos
Inquadrato da un listello liscio, è raffigurato Mitra, con tunica, calzoni, mantello e berretto frigio, nell’atto di uccidere un toro. Il dio punta il piede destro sul terreno e preme il ginocchio sinistro sul dorso dell’animale, mentre gli tiene con la mano sinistra il muso e gli conficca, con la destra, un pugnale nel petto. Un serpente lecca la ferita del toro, la cui coda è trasformata in spighe di grano; al di sotto, un piccolo cane si solleva sulle zampe posteriori poggiando le anteriori sul petto della vittima, mentre uno scorpione morde i testicoli dell’animale. Nell’angolo superiore destro vi è raffigurata l’immagine della Luna con crescente, in quello superiore sinistro, il Sole con corona a quattro raggi, al di sotto del quale vi è invece un corvo poggiato su una roccia. Negli angoli inferiori vi sono infine le figure di Cautes e Cautopates. L’iscrizione dedicatoria ricorda l’adesione al mitraismo di personaggi di rango senatorio. Il bassorilievo, insieme con la decorazione in stucco delle Terme di vico Carminiello ai Mannesi e al rilievo con Mitra di provenienza napoletana ora a Bruxelles, rappresenta un’importante testimonianza dell’affermazione di questo culto a Napoli.

Mitra
Divinità della luce di origine indo-iranica, il cui culto si diffuse nel mondo romano in età imperiale, in particolare dal II secolo d.C., ma venne avversato verso la fine del IV secolo con numerosi atti di repressione. Secondo la tradizione, Mitra alle origini del mondo avrebbe sgozzato un toro, simbolo della vita, per sottrarlo allo spirito del Male e dal sangue dell’animale sarebbe nata la vita sotto forma di spighe. I fedeli venivano iniziati in santuari chiamati mitrei, solitamente collocati in grotte o gallerie. Divenuta l’unica religione pagana dopo l’affermazione del cristianesimo, trovò larga diffusione oltre che presso militari e schiavi anche presso gli aristocratici.