Trieste (Friuli-Venezia Giulia) 16 giugno 2016

I danni del rigassificatore per i porti di Trieste e Koper

Cominciamo col dire che un rigassificatore è un impianto di ritrasformazione del metano liquefatto in metano gassoso. La rigassificazione è una delle fasi finali del trasporto del gas in forma liquida particolarmente via mare dal luogo di estrazione, dove il gas subisce un processo di liquefazione che lo trasforma dallo stato gassoso allo stato liquido per consentirne il trasporto nelle navi cisterna. Ha il vantaggio economico di diversificare l’importazione del gas naturale da più paesi esportatori, anche molto distanti dal luogo di consumo, mettendoli in diretta concorrenza e riducendone così il prezzo d’acquisto. Il paese importatore è inoltre svincolato da quei legami rigidi e di natura monopolistica, che un metanodotto comporta, verso il paese esportatore o i paesi da esso attraversati. L’aspetto negativo più rilevante è il problema della sicurezza dell’impianto, che, per la sua pericolosità, deve essere collocato a distanza di sicurezza dalle abitazioni civili, ragione per cui sarebbe preferibile la sua realizzazione al largo della costa su apposite piattaforme off-shore.
Il rigassificatore di Zaule progettato dalla Gas Natural è invece di tipo on-shore. La tecnologia on-shore, che attualmente è la più diffusa e collaudata, consiste nella realizzazione di silo per il metano liquefatto, che viene poi riscaldato e riportato allo stato aeriforme per essere distribuito in rete, collocati in prossimità del mare e collegati ad un pontile d’attracco per le navi metaniere.
Uno dei luoghi comuni, veicolati sul web dai sostenitori di tali impianti, è l’affermazione che in condizioni normali un impianto di rigassificazione non produce danni all’ambiente. Ormai, però, è assodato da studi scientifici che le caratteristiche chimiche del metano e le sue interazioni con l’atmosfera concorrano significativamente all’effetto serra: a parità di peso l’effetto serra prodotto dal metano incombusto è 21 volte circa più grande di quello prodotto dall’anidride carbonica. Secondo dati del 2008, l’impianto di Panigaglia, in provincia di La Spezia, di GNL Italia, una società Snam, immetteva in atmosfera annualmente 174,3 tonnellate di ossidi di azoto (NOx), a cui si aggiungevano fughe di gas e liquido leggero da valvole, pompe, compressori e altri dispositivi, stimate nell’ordine di 52,41 tonnellate/anno. Nell’impianto di raffreddamento del rigassificatore spezzino viene utilizzato un biocida composto da cloro e ammoniaca: l’acqua marina usata per diminuire la temperatura dell’acqua dolce del circuito chiuso di raffreddamento viene restituita al mare clorata, con un incremento medio di temperatura di 4,8 °C ed un massimo di 8 °C.
I rigassificatori secondo la direttiva ”Seveso III” sono considerati ”impianti ad alto rischio di incidente rilevante”. Uno degli aspetti del rischio è la possibilità del cosiddetto ”effetto domino”, cioè i maggiori pericoli che derivano dalla vicinanza di altri impianti pericolosi, una possibilità che la documentazione relativa all’impianto di Zaule sembrerebbe nel caso specifico, nonostante la loro presenza, negare. Il pericolo maggiore di un rigassificatore è costituito da fuoriuscite di gas che potrebbero essere provocate da guasti o errori umani, oppure da atti terroristici. Di per sé il gas naturale non è infiammabile quando è allo stato liquido nel silo. Una sua fuga all’esterno per qualsiasi motivo causa la sua diffusione sotto forma di nube di gas e basta una sua mescolanza con l’ossigeno percentualmente dal 5% al 15% a renderlo altamente volatile ed infiammabile. Proprio per la pericolosità di tali impianti, la stessa legge, poi, prevede inoltre espressamente la partecipazione della società civile qualora si ravvisi la necessità di comporre conflitti in ordine alla costruzione di nuovi stabilimenti.
A questo proposito c’è da aggiungere anche che la legge italiana 108 del 2001 ha recepito la Convenzione di Arhus, firmata nel 1998 dalla Comunità Europea, riguardante l’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico al processo decisionale e l’accesso alla giustizia in materia ambientale. Circa il dovere di informazione della popolazione, infine, c’è un ulteriore aspetto del problema. Il porto di Trieste, come i porti italiani di Livorno, Taranto e Brindisi, è base navale classificata ufficialmente come porto a ”rischio nucleare” e, dunque, sottoposto al decreto legislativo 230 del 1995 che prevede l’informazione della popolazione sui piani di emergenza. Il rischio in questo caso verrebbe da possibili collisioni tra navi metaniere e sommergibili a propulsione nucleare. Un incidente ad una nave gasiera avrebbe gravi conseguenze, come scriveva su ”il Manifesto” il 23 marzo 2006 Manlio Dinucci: ”Come mostra un documentario statunitense realizzato da Tim e Hayden Riley, la nube di vapore fuoriuscita per incidente da una nave gasiera si spanderebbe sulla superficie marina molto più rapidamente che su quella terrestre e, incendiandosi una volta raggiunta la costa, brucerebbe tutto al suo passaggio”.
Della vicenda del progettato impianto di rigassificazione di Zaule della multinazionale Gas Natural, che il 30 maggio 2016 ha avuto l’approvazione del ministero italiano dell’Ambiente, c’è anche un altro aspetto che a dire inquietante è dir poco, evidenziato su ”La Voce di Trieste” da un’analisi del suo direttore Paolo G. Parovel. ”Quel rigassificatore – scrive Parovel – è una delle operazioni principali con cui il corrotto sistema politico italiano tenta di soffocare il Porto Franco internazionale del Free Territory of Trieste e di sabotare il vicino porto della Slovenia, Koper, allo scopo di dirottare i futuri traffici degli assi ferroviari Baltico-Adriatico e transiberiano sui porti dell’Italia meridionale più controllati dalle potenti mafie italiane. Per assorbire nuovi traffici il Porto Franco internazionale di Trieste ha bisogno di espandersi rapidamente attivando al massimo il Porto Franco Nord (detto ‘vecchio’) con una nuova piattaforma logistica ed altre opere, e di aumentare le superfici del Porto Franco Sud (detto ‘nuovo’) eliminando la Ferriera di Servola, che è uno stabilimento siderurgico privato inquinante, e strutturando l’area Teseco dell’ex raffineria Aquila-Total. I progetti di questi tre interventi necessari sono pronti ed attuabili da anni, ma i politici italiani li bloccano tentando di eliminare il Porto Franco Nord con una truffa internazionale, mantenendo con finanziamenti pubblici la Ferriera privata, e sabotando il Porto Franco Sud con la costruzione del rigassificatore tra l’area Teseco ed il terminale SIOT della TAL-Transalpine Ölleitung”. L’articolo di Parovel evidenzia anche danni e rischi del progetto che definisce inaccettabili per la popolazione civile e per la sicurezza strategica della regione: oltre ai danni all’ambiente marino e ”oltre al rischio di incidenti, i serbatoi di gas a terra e le navi gasiere costituirebbero infatti un obiettivo terroristico indifendibile di primo livello, inserito nel tessuto urbano in prossimità di impianti petroliferi e chimici che moltiplicherebbero l’effetto di un attentato”. Ma, soprattutto, accanto a tali ipotetici rischi vi sarebbe secondo Parovel un danno permanente dovuto al fatto che ”il passaggio delle gasiere causerebbe inoltre sospensioni di sicurezza del transito delle altre navi in tutto il Porto Franco Sud e nel vicino porto di Koper (Slovenia), bloccando anche le petroliere che riforniscono Germania Meridionale, Austria e Repubblica Ceca attraverso la TAL”.