Lo studio scientifico della mummia di don Giovanni Arcangeli: il caso più antico di ictus nella storia
L’ictus cerebrale è una malattia estremamente letale nel mondo moderno, la seconda causa di morte a livello globale sopra i 60 anni e responsabile di importanti disabilità e comorbidità come deficit cognitivi e motori irreversibili. Benché a livello storico sia stata descritta sin dai tempi di Ippocrate – alcuni sostengono che se ne possano ritrovare tracce addirittura nei bassorilievi dell’antico Egitto – fino a oggi non ne era ancora stata dimostrata l’esistenza nel passato attraverso uno studio paleopatologico di resti mortali. L’unica proposta era stata fatta nel 1857 sui resti mummificati di Francesco I de’ Medici (1541-1587), allorché il corpo venne riesumato e le spoglie del signore fiorentino furono riprodotte con un disegno all’acquerello. L’immagine mostra infatti una paralisi suggestiva d’una sequela di ictus: la mancata conservazione dei resti mortali impedisce tuttavia di poter verificare questa sia pur interessante ipotesi.
Oggi, per la prima volta, un team multidisciplinare coordinato dal dott. Francesco M. Galassi, paleopatologo di origini riminesi, delle Università di Zurigo (Svizzera) e Flinders (Australia), di fama internazionale e considerato tra i più influenti scienziati in Europa, il dott. Stefano De Carolis, coordinatore dell’area Storia della Medicina e Grandi Medici Romagnoli del Gruppo Cultura AUSL Romagna e direttore della Scuola di Storia della medicina dell’Ordine dei Medici di Rimini, l’archeologo Marcello Cartoceti e il dott. Enrico Cavagna, direttore del Dipartimento Diagnostica per Immagini dell’AUSL della Romagna hanno risolto l’enigma della paleopatologia dell’ictus, proiettando la città di Rimini al centro del focus della ricerca paleomedica mondiale. Le ricerche sono state autorizzate dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Ravenna e dalla Curia di Rimini.
La ricerca consiste dell’esame multidisciplinare dei resti mummificati di don Giovanni Arcangeli, sacerdote della Parrocchia di S. Lorenzo a Monte, deceduto nel 1751 all’età di 73 anni, assolutamente non scontata per quei tempi nei quali l’età media era generalmente più bassa di quella attuale e si poteva morire per una banale malattia infettiva, in assenza di antibiotici. I resti, rinvenuti nel 2005 in stato di grande frammentazione, mostravano un’abnorme contrazione dell’arto, e soprattutto della mano, di sinistra: pur non potendo approfondire lo studio già all’epoca si pensò a una possibile paralisi, anche se la cautela suggerì di prendere in esame anche la possibilità di una forma estrema di rigor mortis, benché i tendini del dorso della mano mostrassero chiaramente quel grado di contrazione che si vede in pazienti moderni colpiti da paralisi post-ictale.
Il successivo ritrovamento, presso l’Archivio Storico Diocesano “G. Garampi” di Rimini, di documenti di poco posteriori alla morte del sacerdote, ha dimostrato come questi fosse stato colpito almeno due anni prima della morte da un ictus (morbus apopleticus) che lo lasciò gravemente invalido, costringendolo ad abbandonare la conduzione della parrocchia. I risultati di questo studio preliminare sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista di medicina cardiovascolare Circulation Research. Come osserva il dott. Galassi, la combinazione del dato storico con l’evidenza della mummia – secondo il migliore spirito della moderna ricerca paleopatografica – permette di ricostruire con grande precisione il fenotipo delle patologie nel passato. Per il paleopatologo è un altro importantissimo primato, dopo aver scoperto il caso più antico di gigantismo nel faraone Sa-Nakht e aver decifrato il mistero della morte di Boccaccio.
“È anche un grande risultato per il Gruppo Cultura e per la Scuola di Storia della medicina, che hanno come obiettivo la riscoperta e la diffusione di questa importantissima disciplina” – commenta De Carolis, il quale, assieme ai colleghi si appresta a continuare le analisi, implementando tecniche chimiche e molecolari. Nei giorni scorsi, infatti, i resti mummificati sono stati sottoposti a uno studio TAC presso l’Ospedale Infermi di Rimini, sotto la direzione scientifica del dott. Cavagna: l’indagine, i cui risultati sono in fase di elaborazione, ha mostrato fra l’altro la presenza di una calcificazione a livello dell’arteria carotide destra, il che è compatibile con un quadro di ischemia dell’emisfero cerebrale destro e conseguente paralisi dell’arto controlaterale (sinistro). “La paleoradiologia offre un importante contributo alla ricerca storico-medica. Penso ci siano le basi per uno studio multidisciplinare di grandissimo impatto per la comunità scientifica” – afferma il dott. Cavagna.
La ricerca continua…