Atto I
Buio e Luce
Sipario Nero.
(Il suono di una tempesta di neve)
Tutti dormiamo in un fuoco. Loran nel suo fuoco cerca l’oblio. Smarriti, vediamo solo ciò che vogliamo vedere ma ci sono strade perdute in mezzo ai boschi che portano davanti all’Inferno. Ci sono anime che smarriscono la retta via e cercano la scorciatoia per il ritorno a casa. Strade invisibili all’occhio, invitanti come nereidi che conducono il passo sull’orlo dell’abisso, dove la mente capisce che non ha via di scampo e ordina alle ginocchia di piegarsi in una ultima forzata supplica agli angeli.
La battaglia tra il bene e il male, tra l’ombra e la luce, tra la Morte e la Vita, lontano dalle luci di città rassicuranti e dai rumori instancabili d’auto e fabbriche.
(eco – il battito di un cuore)
(L’autore ammonisce la platea con il coro delle ombre)
Camille Saint-Saëns – Danse Macabre- rivisitazione
c’è una maschera nella tua mente
c’è un invito perenne al sognare
non vorrai sapere dove ti trovi
dove l’anima tua fugge
nemmeno le ombre nere conoscono l’umana stoffa
nemmeno i diavoli sanno come dare battaglia
alla fame del mostro che si chiude nel cervello
nelle stanze più buie e segrete
che la tua anima condivide con i nembi
…
Tutto ha inizio nel mese di Dicembre, poco prima delle feste di Natale.
Fugge dalla città, presa in stoiche acrobazie per sopravvivere ai rumori e alle invasioni di malumori, la piccola utilitaria diretta verso la periferia.
La cosa potrebbe non interessare il lettore, non fosse che questo moderno mezzo di trasporto è usato dal protagonista della nostra storia.
Dopo due ore di rallentamenti dovuti a una pioggerellina ghiacciata, l’uomo trova l’indicazione per una scorciatoia che l’avrebbe portato, a casa della sorella, cui non fa visita da anni; o forse non c’è mai andato per seguire i mille impegni della sua fidanzata, una manager in carriera di una multinazionale farmaceutica.
Fa una breve pausa per bere un sorso d’acqua, anche fuori diluviava e lui ha sete, la cosa gli sembra divertente, gira il bottone del riscaldamento sul massimo e si stringe il giaccone come se abbia paura che qualcuno gli possa rubare non solo il cuore ma anche l’anima.
Loran accende i fari dell’auto, sessanta chilometri l’ora è un buon passo, pensa rilassato, mentre si strofina le mani bagnate dell’acqua caduta da una piccola bottiglia chiusa male, poi sottovoce impreca.
Il tergicristalli cerca di liberare il vetro dalle sberle di pioggia, ma lei ha forze inverosimilmente perpetue, che aziona per scoraggiare gli illusi, contenti se fosse sparita in quel mese che sogna solo neve.
(l’Autore)
Cos’è che libera la pioggia dal morso dell’inverno, quale forza spinge il frammento d’acqua alla caduta e dopo rovinoso precipitare cercare il bacio della morte, seduta sui corpi di foglie ingiallite e secche?
Non lontano da ogni vissuto, dalle vie costipate di traffico, non lontano dalle nostre certezze, c’è un antro che accoglie tutte le paure umane e l’oscurità.
Un vano propenso al tacere dei secoli, perché lui è li a monito degli spavaldi, che s’apprestano a sfidare l’inquietudine del Regno dei Diavoli.
La lotta non è la fuori ma dentro il torace, nel capo, nei sogni, nei pensieri, in tutto l’intervallo che misura la vita di un essere umano.
La notte dell’inverno è una creatura quasi quieta, ti senti i passi al sicuro e lontani dalle belve luminose di città. Ma ora in mezzo ai boschi, strade portano ad altre strade, la loro metà è il Nulla, l’occhio teme i licantropi di legno che spuntano dalle ombre, infiniti.
Dove stai andando Straniero non c’è mistero ma timore.
Loran pensa alle feste di Natale, vicine, così vicine da fargli ricordare di essere solo, non per scelta ma per colpa di una bugiarda, una fottuta puttana, che si è presa la libertà di usarlo come un oggetto, come una moda del XXI sec. dove un amore si può abbandonare tramite uno spiccio sms che non le è costato più di un centesimo; questi ed altri pensieri sfidano il quieto mondo dell’uomo…
Viaggiare di notte non è mai stato per lui un problema ma i pensieri così’ scuri lo portarono fuori strada, lontano dal passaggio regolare del traffico.
Non è spaventato, non doveva esserlo, la cosa peggiore è non aver azzeccato la porta della felicità. Ha aveva smesso di piangersi addosso, come gli amici lo avevano consigliato dicendogli, ragazzo così va la vita, la fottuta vita, dove si era barricato come un criceto di casa, per fare contenta quella animala dalla diaspora facile.
Le ombre tra i rami, il nulla, dopo aver sconfinato, l’oltretomba sussurra esausta a Loran inviti :
(le Ombre – sussurri?)
Loran
ascolti
battiti uniformi
chiamate del cuore
piovi indisturbato tra gli estuari del mistero
pensando ad una donna
storpi quei passi
dagli argini di limo verso il bianco
che copre il sangue nella rada
reinventi la passione tormentosa
di questa landa
come se i sogni
ti fossero dovuti più dell’aria
e nel cancan di fantasmi
tu passi inosservato
profumo dolce di fresie
per fare girare il capo
attendi dalla notte
la giusta causa
La pioggia dopo il rovescio sembra calmarsi e in lontananza, Loran vide la collina illuminata, ma per poco. Questo basta per sollevargli il morale, e per azionare il volante verso la civiltà.
D’un tratto l’auto cessa di rispondere ai comandi. La benzina forse o qualcos’altro, si domanda lui cercando nel selciato la risposta.
Intorno solo pali, giganti di legno coprono il cielo, statue in fuga verso astri – appendino per candidi ghiaccioli; le mute forze del ragazzo si spingono per irritargli il cuore, aspro non per l’inquietudine del buio ma per la distanza dal punto fisso. Senza alcun sprono dalla fortuna riparte, la scatola di ferro col suo passeggero, la pioggia smette il suo corso, lasciandosi sostituire solo dal vento.
(suono di zampogne)
L’auto procede in un imbuto sempre più nero e impenetrabile, ma la mente dell’uomo segue ad ascoltare il suono magico di una canzone virtuale, come se nel posto dove è diretta si festeggi il Natale a vecchio modo, con luci colorate, bambini presi a fare pupazzi di neve fino a tardi e zampognari dietro le porte a invitare gli animi della gente ad aprirsi.
La via ostruita da un tronco, poco lascia a chi deve, il passaggio, e l’uomo senza cinguettar dispetto al Fato, scende a cercare soccorso.
(Voce dal nulla)
dove spunta la Luna
c’è un angolo di cielo senza stelle
davanti alla rada
di ombre
sempre più nere
non temo più nulla
il peggio m’ha preso da tempo
sono sempre libero
dalle trame dei compromessi
troverò un posto davvero
dove guarire tutti i mali
dove immaginare sepolti i nemici
dove mutare il fragile cuore da uomo
in un immortale
(Loran mira al bosco per cercare l’indizio di una casa o di una nuova via- sussulta)
(il Bosco)
Ma tu non hai paura?
Non temi forse di liberare dalle peggiori angosce, i fantasmi? Guarda il mondo dell’oscurità che ti circonda, guarda come sono tenui i suoi contorni, qui potresti svanire per sempre e nessuno venire mai a cercarti. Sei solo un debole castello di carne, un invito per la peggiore specie di mostri, tu hai nella vena calda il sangue che a molti del posto potrebbe esaltare il senso.
(Loran si guarda in giro pensando a uno scherzo)
Paura io? Di chi? Di cosa? I mostri peggiori mi hanno già spolpato di speranze, io potrei essere la vostra nuova paura, perché in me dorme già tutti i diavoli.
(il Bosco)
Che ne sai tu dei diavoli? Tu che hai vissuto bendando gli occhi solo di luce, tu che hai atteso le albe per aggredirci d’angeli, tu che hai bruciato candele in chiesa per la nostra fine, che ne sai tu delle vere paure?
(Loran)
Seppur io non veda chi mi sfida, io so per certo che dietro ogni voce c’è un Ego e come tale tragga la sua forza dalla certezza. Allora io domando a te immagine del Nulla, cosa v’è certo in natura, cosa ha un fine che non porti soltanto al dente perpetuo del verme?
(il Bosco)
Ovunque nel mondo troverai, amici, nemici, incoerenza, ma c’è un posto nel retroscena della vita, dove il tempo non dirige e da lì noi vediamo cose che danno la risposta ai nostri dubbi.
(Loran ride)
Orsù pensate che rubando il posto a Dio, voi possiate evitare la muffa?
(il Bosco)
Temere dovrai te stesso e sempre e di Dio se credi che esista ne sarai il giullare perché per sua ammissione di colpa, vige, tra i tremendi umani il libero arbitrio. Ci sono mostri tra voi che pregano in chiesa per il male altrui e qual tesoro vederli bussare al Paradiso mascherati da ambizioni senza premi?
(Loran)
Non credo sia di Dio le colpe dei nostri gesti, nemmeno del morire associato ai peccati; io credo ci sia un tollerante mondo oltre, che passato il gradino basso del fiele*, ci tiene in riserva da beati.
* Il Purgatorio
Vola uno stormo di uccelli notturni, tremenda la voce del male, la notte emette un grido disumano e il bosco torna a tacere non da sconfitto ma regista che trama con gli oscuri fili del tempo, la gabbia.
Dall’oscurità una voce soave invita Loran all’attenzione.
(Voce)
Ti sia condanna la superbia che di ogni uomo ne fa giostra. Tu verrai sul sentiero duro, a piegare gli occhi davanti al grande altare. Mettiti in salvo se hai coscienza, altrimenti duro sarà il tuo castigo!
(Loran)
Non temo i passeri perché sono neri, ho sempre avuto costanza. davanti a porte chiuse, ci sono metodi che in natura sembrano diversi e diverse sono le strade della mente per togliere l’inghippo. L’invito mi sembra ansioso per chi non teme l’umile mortale smarrito sulla via, chi vivrà vedrà e il mio inchino non cerca affatto un Dio.
Avanti aprite le vostre fauci di morte e fattemi vedere dell’oscurità la forza perché altrimenti riservo il miglior ghigno, a chi parole e fretta fanno circostanza (banalità)!
L’oscurità prende vita, e gli alberi si spostano per il volere di una gigantesca mano invisibile. S’apre una via stretta tra i cespugli, che sembra portare verso il nulla.
L’odore della notte è incerto, il fremito del vento ghiaccia la natura mentre il cuore pulsante porta alla desolazione, un po’ di vecchi sogni. Nel frattempo il bosco si fa crescere lunghi e di legno, gli artigli.
Libera sui quattro lati, quasi infetta persino per l’Inferno, s’intravede una casa ricca di guglie e di bronzi. Tale fortezza sembra difesa in natura da altri mali e incondizionata è la sua presenza con il male storpio dell’edera che tutto avvolge, vetri e lucernai rassicuranti sono soltanto per l’occhio dello sconosciuto in cerca di speranza.
Forse c’è vita, pensa Loran camminando, forse si può uscire da quest’incubo con una telefonata, alza il cellulare che non riceve alcun segnale. I suoi passi fanno il rumore di mille legioni di soldati che attraversano il deserto della Morte.
Il bosco si agita nonostante il silenzio del vento. Loran affretta i passi verso l’imbuto. Costanza, pensa, serve costanza davanti al nulla e tira avanti, spinto dal motore curioso dentro il capo.
(Loran)
mi dicono che il nulla è torchio
che devo temere della vita
che devo avere paura se l’occhio
non vede del passo la sua meta
ma io non temo no
il male
non voglio credere che ci sia qualcosa oltre il buio
che i diavoli si misurano per ridere dell’uomo
ed il difetto di nascita di certi esseri
portino all’odio
io voglio credere che dietro ogni condanna ci sia un dono
un atrio di speranza dove prendere il fio
io andrò per ogni strada avanti
mai cercando di temere il fuori
perché in me ci sono tutti i modi
per vedere del vero diavolo il sigillo
non sia l’impuro tremito a farmi sospettare
quanto crudele può essere d’inverno la natura
voi che mi state davanti a muro
non avete mai avuto a che fare con la Donna
orsù andiamo
è canto il privilegio di venire fuori dalla rabbia
fosse la notte la meretrice di turno
io ho dato alla sorte il bene
per altre più o meno scaltre illusioni
io non mi consumo
Miu jacqueline