“Ci sono donne che subiscono violenza due volte. Non solo tra le mura di casa, sui luoghi di lavoro, in realtà estreme di guerra ed emarginazione; ma anche attraverso il racconto che se ne fa sui mezzi di informazione, quando questi non usano sensibilità e rispetto privilegiando elementi forti e d’impatto sul pubblico”. E’ quanto ha dichiarato il giornalista lucano Fabio Amendolara intervenendo al terzo Symposium Internazionale su “La protection juridique de la femme contre la violence” svoltosi ad Istanbul per iniziativa della Camera Penale della Kultur Universitesi-Cehamer.
“Un’informazione non data in maniera corretta – ha sostenuto Amendolara – può procurare anche distorsioni e danni gravi, in quanto nella formazione dell’opinione pubblica, dell’immaginario collettivo e nel sostegno degli stereotipi comuni, l’informazione ha un ruolo fondamentale”.
Alla due giorni di Istanbul, sono intervenuti autorevoli giuristi, magistrati, docenti universitari, giornalisti, esperti in materia, in rappresentanza delle diverse delegazioni dei Paesi (Italia, Francia, Bulgaria, Israele, Mali, Senegal, Turchia) che hanno lamentato la superficialità dei media a sottovalutare aspetti delicati per le persone oggetto di violenze.
A confronto esperti di ben 7 Paesi (Turchia, Italia, Francia, Mali, Bulgaria, Israel, Senegal, con oltre 40 rappresentanti). Le sessioni di lavoro sono state presiedute dal professore Bahri Ozturk presidente della Camera Penale Internazionale, dall’ avvocato Aysen Onen presidente del corso universitario “Donne e Diritto” della Camera Penale Internazionale dell’Università Kultur e dal giudice Fatoumata Dembele Diarre, già vice presidente della Corte Penale Internazionale e presidente della Bamako Mali Università che ha sottoscritto anche un accordo di cooperazione con la prestigiosa Kultur Universite-Cehamer di Istanbul.
Secondo quanto sostenuto dal giornalista lucano, da sempre impegnato a sensibilizzare gli organismi della categoria e componente della Commissione garante per l’attuazione della Carta di Istanbul “l’informazione veicolata dai media a differenza delle fiction o della pubblicità, si pone come “oggettiva” e influenza in maniera diretta la percezione di quel problema come fosse “super partes. Ecco perché chi si occupa di temi delicati come la violenza sulle donne deve utilizzare il linguaggio più appropriato e raccontare i fatti nella maniera più giusta e rispettosa della vittima”.
“Chi informa – ha aggiunto – deve essere informato. E chi si occupa di violenza deve essere formato, nella giurisprudenza come nella stampa, e non può prescindere da una formazione e una preparazione adeguata su temi che non sono di serie B, e che non possono essere improvvisati, soprattutto se si tratta di professionisti dell’informazione, come siamo appunto noi giornalisti”.
Del resto nonostante la Convenzione indichi ai giornalisti di impegnarsi affinché la violenza nei confronti delle donne venga considerata socialmente inaccettabile e si raccomanda di formare e sensibilizzare i media a richiamare una rappresentazione non stereotipata delle donne e degli uomini nei mezzi di comunicazione, da quanto emerso dai diversi interventi tutto quanto previsto viene purtroppo non tenuto in debita considerazione.
Esplicitamente l’articolo 17 riporta che “le Parti incoraggiano il settore privato, il settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e i mass media, nel rispetto della loro indipendenza e libertà di espressione, a partecipare a l’elaborazione e all’attuazione di politiche e alla definizione di linee guida e di norme di autoregolazione per prevenire la violenza contro le donne e rafforzare il rispetto della loro dignità”.
Secondo Amendolara “passi in avanti ne sono stati fatti, ma c’è ancora molto da lavorare in questa direzione. In Italia – ha aggiunto – vige ancora una parziale mancanza di rispetto nei confronti delle vittime di femminicidi, spesso colpevolizzate attraverso dettagli sulla vita privata e allusioni varie, dando invece attenuanti agli uomini, che vengono dipinti come le vere vittime della situazione”.
“I giornalisti – ha sottolineato Amendolara – non solo in Italia spesso trattano i casi di violenza sulle donne e il femminicidio come fatti di cronaca isolati e sporadici, attraverso una narrazione che per rendere più “appetibile” il racconto scava nel “torbido”, per attirare l’attenzione dei lettori facendo leva su stereotipi culturali ma senza dare un quadro d’insieme, trasformando purtroppo anche la vittima in offender e minimizzando la gravità del reato commesso”.
La Federazione Internazionale dei giornalisti (Ifj) ha stilato un decalogo per guidare i giornalisti che si occupano di questi temi, a raccontare i fatti nel modo più corretto e rispettoso. Occorre raccontare il fenomeno con una prospettiva che superi il pregiudizio discriminatorio e con adeguati strumenti comunicativi perché “il femminicidio – a parere di Amendolara – non è un passe-partout per fare notizia”.
“Non basta essere giornalisti “sensibili” – ha continuato il cronista lucano – ma bisogna conoscere il fenomeno, ed è fondamentale che la formazione valga, così come per i giudici, forze dell’ordine, avvocati, psicologi, assistenti sociali, anche per i tutti i colleghi che vogliano occuparsi di questi temi”.
“Perché non basta raccontare i fatti, è necessario – ha concluso Amendolara – saperli raccontare con il giusto linguaggio e con un’assunzione di responsabilità da parte dei media nel fare informazione rispettosa della dignità femminile e senza fare differenze moralistiche tra uomo e donna”.
Al termine del Symposium il Comitato Garante per l’attuazione della Carta ha fatto proprie alcune delle indicazioni proposte dal giornalista italiano per sensibilizzare gli organi di informazione e le università ad attuare campagne informative volte a formare la società al rispetto dei diritti fondamentali delle donne e degli uomini senza discriminazioni fra i generi e nel rispetto della tutela delle persone.
Istanbul, Fabio Amendolara: Si evitino scoop su femminicidio
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