Oggi il Regno Unito ha consegnato alla Commissione Europea la lettera in cui chiede l’applicazione dell’Articolo 50 del Trattato di Lisbona, che prevede l’uscita di un Paese Membro dall’Unione continentale. A sette mesi dal referendum, la Brexit diventa realtà e prende avvio il biennio di negoziati. Ma le compagnie aeree volano (e lo faranno ancora per un po’) ancora nell’incertezza.
Il punto è essenzialmente uno. Nel 2019, quando termineranno i negoziati tra UE e UK, cosa succederà ai voli da e per il Regno Unito? Nel caso – come sembra – prevalesse la linea dell’hard Brexit, con l’uscita dal mercato unico europeo il Regno Unito perderebbe i privilegi della liberalizzazione dei cieli (i cosiddetti Open Skies) e sarebbe costretto a rinegoziare i voli aerei Paese per Paese.
Senza contare che un hard brexit, potrebbe comportare l’uscita del Regno Unito anche dall’European Aviation Safety Agency (EASA), l’agenzia europea che certifica le rotte, gli aerei, gli aeroporti e tutto quello che concerne l’aviazione continentale. E’ pur verso che Paesi come la Norvegia, la Svizzera e l’Islanda sono all’interno dell’EASA pur non appartenendo all’UE, ma allo stesso c’è da considerare che se in negoziati tra il governo di Theresa May e le autorità di Bruxelles divenissero particolarmente spinosi, non è detto che al Regno Unito venga concesso il vantaggio già offerto ad altri Paesi fuori dall’Unione.
Insomma, la Brexit è una incognita per le compagnie, che non hanno ancora compreso quale sia la corretta rotta da seguire.
I dilemmi di Easyjet
Tra le compagnie britanniche Easyjet sarà probabilmente quella che pagherà (e in parte già sta pagando) maggiormente lo scotto della Brexit.
Grazie alla liberalizzazione dei cieli prevista dai trattati, il vettore low-cost effettua tratte nazionali di Paesi dell’Unione (come la Roma-Milano, operata in passato), o rotte tra Paesi diversi che non siano per forza di cose la propria nazione di origine (Roma-Berlino, ad esempio).
Poco dopo il referendum del luglio scorso, Easyjet è subito corsa ai ripari, richiedendo il certificato di operatore aereo ad un Paese dell’UE, così da avere una doppia (tripla in realtà perchè il vettore è registrato oltre che in UK anche in Svizzera) copertura. Tuttavia questa mossa non potrebbe bastare.
n base a come andranno i negoziati tra UE e UK, non è escluso che Easyjet – per continuare a operare con la stessa libertà con cui vola adesso – sia costretta a spostarsi totalmente in un Paese europeo e aprire poi una sussidiaria in Regno Unito per i voli interni all’isola.
Di fatto la compagnia dovrebbe passare di mano a cittadini europei, perché le regole comunitarie prevedono che solo le aerolinee controllate al 51% da cittadini dell’Unione beneficino dei privilegi degli Open Skies.
Ma non solo, perchè Easyjet potrebbe anche dover registrare alcuni suoi aerei in Europa, in modo da continuare a svolgere le operazione come fa oggi. Un aereo con marche britanniche sarebbe costretto a ritornare indietro dopo un volo verso l’Europa. Al contrario, un aereo con la registrazione di Paese dell’Unione avrebbe il diritto di continuare, dopo una tratta dal Regno Unito, verso un altra destinazione continentale.
Per una compagnia low cost questo si tradurrebbe con una diminuzione dell’efficienza dei velivoli, un aumento dei costi operativi e, di conseguenza, un rincaro sui prezzi dei biglietti.
Per Ryanair l’aviazione deve essere in cima ai negoziati
Diametralmente opposta la situazione di Ryanair, compagnia di diritto irlandese ma con un fortissimo focus nel Regno Unito, dove solo nel 2016 ha trasportato 44 milioni di passeggeri, poco meno della metà del suo totale, e occupato direttamente circa 3mila lavoratori.
Al contrario di Easyjet, infatti, Ryanair perderebbe il diritto di effettuare tratte britanniche interne a meno che, anche in questo caso, non apra una consociata di diritto britannico.
In un comunicato diffuso oggi, il vettore low-cost di Dublino ha inoltre chiesto al governo di Londra di mettere l’aviazione in cima ai negoziati per la Brexit minacciando, neanche troppo velatamente, l’abbandono degli aeroporti britannici dal 2019.
«Con l’uscita del Regno Unito dall’accordo Open Skies, la nostra speranza sta in nuovi accordi bilaterali tra l’UE e Londra. Tuttavia, siamo preoccupati che il governo britannico non sia in grado di negoziare un nuovo accordo in tempo per la pubblicazione dell’orario del 2019, che viene preparato nel 2018», ha spiegato Chief Marketing Officer della compagnia Kenny Jacobs.
«Ryanair – ha continuato Jacobs – come le altre compagnie programma i voli 12 mesi in anticipo e per questo c’è solo un anno per completare la nostra Summer 2019, che potrebbe vedere molti tagli nei voli da e per il Regno Unito».
Per questo, «il governo britannico deve mettere l’aviazione in cima all’agenda dei negoziati con Brussells e trovare una «rapida soluzione», altrimenti il rischio è che nel marzo del 2019 il Regno Unito «sia tagliato fuori dall’Europa».
E IAG?
Anche il gruppo anglo-spagnolo International Airlines Group (IAG) potrebbe essere particolarmente colpito dalla Brexit, almeno nella forma.
IAG possiede al momento cinque compagnie – British Airways, Iberia, Vueling, Aer Lingus e, da poche settimane, la low cost LEVEL – e ha una compagine azionaria piuttosto variegata, che vede Qatar Airways al 20% e per il resto fondi di investimento britannici, spagnoli e tedeschi, tutti con quote minoritarie.
Per far continuare a volare le sue compagnie in Europa, IAG dovrà dimostrare di essere posseduta per il 51% da cittadini europei, altrimenti – come Easyjet – rischierà di essere tagliata fuori dagli Open Skies continentali.
FONTE: WWW.FLYORBITNEWS.COM/