Milano (Lombardia) 14 gennaio 2016

La Commedia Infernale – Miu Jacqueline

Il Vampiro

Commedia teatrale in X Atti.

Atto I – Il buio e la luce… smarrita la via regna la paura
Atto II – la casa dei piaceri
Atto III- la bellezza (sublime) del Diavolo
Atto IV – Lui (la canzone: non posso conoscere il fremito senza un cuore caldo- ma posso immaginare l’amore)
Lei ( la canzone: cos’è L’amore Loran)
Atto V –l’amore non ha sesso, non ha età, non vede ostacoli- (la casa è una creatura viva che tiene cari i suoi segreti: la Casa prende vita e parla come una vecchia governante, ammonisce l’ospite ma alloro stesso tempo la cura- non v’è tomba più difesa – on v’è porta più ostruita che quella che Lo custodisce)
Atto VI- vita e morte paradiso e inferno
Atto 7 –un valzer col vampiro – the dark masquerade
Atto 8 –l’alba – l’addio
Atto 9- c’è un oltre per tutti i buoni diavoli – the music box
Atto 10 – diamo ai sogni la libertà dei passi

I protagonisti:

Victor(a) de Vandespien Couer – il Vampiro
Loran – il viaggiatore
La Casa – Lucifero
Voce – una creatura oscura
Il Bosco – i dannati
Le Ombre – la platea del male
Le forze dell’Oscurità – serve di Lucifero
La statua di pietra – la buona coscienza
Lo specchio – servo di Lucifero
Gli ospiti – mostri e fantasmi d’ogni genere invitati al Ballo
L’Autore – il colpevole di tutto

Atto I
Buio e Luce

Sipario Nero.
(Il suono di una tempesta di neve)

Tutti dormiamo in un fuoco. Loran nel suo fuoco cerca l’oblio. Smarriti, vediamo solo ciò che vogliamo vedere ma ci sono strade perdute in mezzo ai boschi che portano davanti all’Inferno. Ci sono anime che smarriscono la retta via e cercano la scorciatoia per il ritorno a casa. Strade invisibili all’occhio, invitanti come nereidi che conducono il passo sull’orlo dell’abisso, dove la mente capisce che non ha via di scampo e ordina alle ginocchia di piegarsi in una ultima forzata supplica agli angeli.
La battaglia tra il bene e il male, tra l’ombra e la luce, tra la Morte e la Vita, lontano dalle luci di città rassicuranti e dai rumori instancabili d’auto e fabbriche.

(eco – il battito di un cuore)

(L’autore ammonisce la platea con il coro delle ombre)
Camille Saint-Saëns – Danse Macabre- rivisitazione

c’è una maschera nella tua mente
c’è un invito perenne al sognare
non vorrai sapere dove ti trovi
dove l’anima tua fugge
nemmeno le ombre nere conoscono l’umana stoffa
nemmeno i diavoli sanno come dare battaglia
alla fame del mostro che si chiude nel cervello
nelle stanze più buie e segrete
che la tua anima condivide con i nembi

Tutto ha inizio nel mese di Dicembre, poco prima delle feste di Natale.
Fugge dalla città, presa in stoiche acrobazie per sopravvivere ai rumori e alle invasioni di malumori, la piccola utilitaria diretta verso la periferia.
La cosa potrebbe non interessare il lettore, non fosse che questo moderno mezzo di trasporto è usato dal protagonista della nostra storia.
Dopo due ore di rallentamenti dovuti a una pioggerellina ghiacciata, l’uomo trova l’indicazione per una scorciatoia che l’avrebbe portato, a casa della sorella, cui non fa visita da anni; o forse non c’è mai andato per seguire i mille impegni della sua fidanzata, una manager in carriera di una multinazionale farmaceutica.
Fa una breve pausa per bere un sorso d’acqua, anche fuori diluviava e lui ha sete, la cosa gli sembra divertente, gira il bottone del riscaldamento sul massimo e si stringe il giaccone come se abbia paura che qualcuno gli possa rubare non solo il cuore ma anche l’anima.
Loran accende i fari dell’auto, sessanta chilometri l’ora è un buon passo, pensa rilassato, mentre si strofina le mani bagnate dell’acqua caduta da una piccola bottiglia chiusa male, poi sottovoce impreca.
Il tergicristalli cerca di liberare il vetro dalle sberle di pioggia, ma lei ha forze inverosimilmente perpetue, che aziona per scoraggiare gli illusi, contenti se fosse sparita in quel mese che sogna solo neve.

(l’Autore)

Cos’è che libera la pioggia dal morso dell’inverno, quale forza spinge il frammento d’acqua alla caduta e dopo rovinoso precipitare cercare il bacio della morte, seduta sui corpi di foglie ingiallite e secche?
Non lontano da ogni vissuto, dalle vie costipate di traffico, non lontano dalle nostre certezze, c’è un antro che accoglie tutte le paure umane e l’oscurità.
Un vano propenso al tacere dei secoli, perché lui è li a monito degli spavaldi, che s’apprestano a sfidare l’inquietudine del Regno dei Diavoli.
La lotta non è la fuori ma dentro il torace, nel capo, nei sogni, nei pensieri, in tutto l’intervallo che misura la vita di un essere umano.
La notte dell’inverno è una creatura quasi quieta, ti senti i passi al sicuro e lontani dalle belve luminose di città. Ma ora in mezzo ai boschi, strade portano ad altre strade, la loro metà è il Nulla, l’occhio teme i licantropi di legno che spuntano dalle ombre, infiniti.
Dove stai andando Straniero non c’è mistero ma timore.

Loran pensa alle feste di Natale, vicine, così vicine da fargli ricordare di essere solo, non per scelta ma per colpa di una bugiarda, una fottuta puttana, che si è presa la libertà di usarlo come un oggetto, come una moda del XXI sec. dove un amore si può abbandonare tramite uno spiccio sms che non le è costato più di un centesimo; questi ed altri pensieri sfidano il quieto mondo dell’uomo…
Viaggiare di notte non è mai stato per lui un problema ma i pensieri così’ scuri lo portarono fuori strada, lontano dal passaggio regolare del traffico.
Non è spaventato, non doveva esserlo, la cosa peggiore è non aver azzeccato la porta della felicità. Ha aveva smesso di piangersi addosso, come gli amici lo avevano consigliato dicendogli, ragazzo così va la vita, la fottuta vita, dove si era barricato come un criceto di casa, per fare contenta quella animala dalla diaspora facile.

Le ombre tra i rami, il nulla, dopo aver sconfinato, l’oltretomba sussurra esausta a Loran inviti :

(le Ombre – sussurri?)

Loran
ascolti
battiti uniformi
chiamate del cuore
piovi indisturbato tra gli estuari del mistero
pensando ad una donna
storpi quei passi
dagli argini di limo verso il bianco
che copre il sangue nella rada
reinventi la passione tormentosa
di questa landa
come se i sogni
ti fossero dovuti più dell’aria
e nel cancan di fantasmi
tu passi inosservato
profumo dolce di fresie
per fare girare il capo
attendi dalla notte
la giusta causa

La pioggia dopo il rovescio sembra calmarsi e in lontananza, Loran vide la collina illuminata, ma per poco. Questo basta per sollevargli il morale, e per azionare il volante verso la civiltà.
D’un tratto l’auto cessa di rispondere ai comandi. La benzina forse o qualcos’altro, si domanda lui cercando nel selciato la risposta.
Intorno solo pali, giganti di legno coprono il cielo, statue in fuga verso astri – appendino per candidi ghiaccioli; le mute forze del ragazzo si spingono per irritargli il cuore, aspro non per l’inquietudine del buio ma per la distanza dal punto fisso. Senza alcun sprono dalla fortuna riparte, la scatola di ferro col suo passeggero, la pioggia smette il suo corso, lasciandosi sostituire solo dal vento.

(suono di zampogne)

L’auto procede in un imbuto sempre più nero e impenetrabile, ma la mente dell’uomo segue ad ascoltare il suono magico di una canzone virtuale, come se nel posto dove è diretta si festeggi il Natale a vecchio modo, con luci colorate, bambini presi a fare pupazzi di neve fino a tardi e zampognari dietro le porte a invitare gli animi della gente ad aprirsi.
La via ostruita da un tronco, poco lascia a chi deve, il passaggio, e l’uomo senza cinguettar dispetto al Fato, scende a cercare soccorso.

(Voce dal nulla)

dove spunta la Luna
c’è un angolo di cielo senza stelle
davanti alla rada
di ombre
sempre più nere
non temo più nulla
il peggio m’ha preso da tempo
sono sempre libero
dalle trame dei compromessi
troverò un posto davvero
dove guarire tutti i mali
dove immaginare sepolti i nemici
dove mutare il fragile cuore da uomo
in un immortale

(Loran mira al bosco per cercare l’indizio di una casa o di una nuova via- sussulta)

(il Bosco)

Ma tu non hai paura?
Non temi forse di liberare dalle peggiori angosce, i fantasmi? Guarda il mondo dell’oscurità che ti circonda, guarda come sono tenui i suoi contorni, qui potresti svanire per sempre e nessuno venire mai a cercarti. Sei solo un debole castello di carne, un invito per la peggiore specie di mostri, tu hai nella vena calda il sangue che a molti del posto potrebbe esaltare il senso.

(Loran si guarda in giro pensando a uno scherzo)

Paura io? Di chi? Di cosa? I mostri peggiori mi hanno già spolpato di speranze, io potrei essere la vostra nuova paura, perché in me dorme già tutti i diavoli.

(il Bosco)

Che ne sai tu dei diavoli? Tu che hai vissuto bendando gli occhi solo di luce, tu che hai atteso le albe per aggredirci d’angeli, tu che hai bruciato candele in chiesa per la nostra fine, che ne sai tu delle vere paure?

(Loran)

Seppur io non veda chi mi sfida, io so per certo che dietro ogni voce c’è un Ego e come tale tragga la sua forza dalla certezza. Allora io domando a te immagine del Nulla, cosa v’è certo in natura, cosa ha un fine che non porti soltanto al dente perpetuo del verme?

(il Bosco)

Ovunque nel mondo troverai, amici, nemici, incoerenza, ma c’è un posto nel retroscena della vita, dove il tempo non dirige e da lì noi vediamo cose che danno la risposta ai nostri dubbi.

(Loran ride)

Orsù pensate che rubando il posto a Dio, voi possiate evitare la muffa?

(il Bosco)

Temere dovrai te stesso e sempre e di Dio se credi che esista ne sarai il giullare perché per sua ammissione di colpa, vige, tra i tremendi umani il libero arbitrio. Ci sono mostri tra voi che pregano in chiesa per il male altrui e qual tesoro vederli bussare al Paradiso mascherati da ambizioni senza premi?

(Loran)

Non credo sia di Dio le colpe dei nostri gesti, nemmeno del morire associato ai peccati; io credo ci sia un tollerante mondo oltre, che passato il gradino basso del fiele*, ci tiene in riserva da beati.

* Il Purgatorio

Vola uno stormo di uccelli notturni, tremenda la voce del male, la notte emette un grido disumano e il bosco torna a tacere non da sconfitto ma regista che trama con gli oscuri fili del tempo, la gabbia.
Dall’oscurità una voce soave invita Loran all’attenzione.

(Voce)

Ti sia condanna la superbia che di ogni uomo ne fa giostra. Tu verrai sul sentiero duro, a piegare gli occhi davanti al grande altare. Mettiti in salvo se hai coscienza, altrimenti duro sarà il tuo castigo!

(Loran)

Non temo i passeri perché sono neri, ho sempre avuto costanza. davanti a porte chiuse, ci sono metodi che in natura sembrano diversi e diverse sono le strade della mente per togliere l’inghippo. L’invito mi sembra ansioso per chi non teme l’umile mortale smarrito sulla via, chi vivrà vedrà e il mio inchino non cerca affatto un Dio.
Avanti aprite le vostre fauci di morte e fattemi vedere dell’oscurità la forza perché altrimenti riservo il miglior ghigno, a chi parole e fretta fanno circostanza (banalità)!

L’oscurità prende vita, e gli alberi si spostano per il volere di una gigantesca mano invisibile. S’apre una via stretta tra i cespugli, che sembra portare verso il nulla.
L’odore della notte è incerto, il fremito del vento ghiaccia la natura mentre il cuore pulsante porta alla desolazione, un po’ di vecchi sogni. Nel frattempo il bosco si fa crescere lunghi e di legno, gli artigli.
Libera sui quattro lati, quasi infetta persino per l’Inferno, s’intravede una casa ricca di guglie e di bronzi. Tale fortezza sembra difesa in natura da altri mali e incondizionata è la sua presenza con il male storpio dell’edera che tutto avvolge, vetri e lucernai rassicuranti sono soltanto per l’occhio dello sconosciuto in cerca di speranza.
Forse c’è vita, pensa Loran camminando, forse si può uscire da quest’incubo con una telefonata, alza il cellulare che non riceve alcun segnale. I suoi passi fanno il rumore di mille legioni di soldati che attraversano il deserto della Morte.
Il bosco si agita nonostante il silenzio del vento. Loran affretta i passi verso l’imbuto. Costanza, pensa, serve costanza davanti al nulla e tira avanti, spinto dal motore curioso dentro il capo.

(Loran)

mi dicono che il nulla è torchio
che devo temere della vita
che devo avere paura se l’occhio
non vede del passo la sua meta
ma io non temo no
il male
non voglio credere che ci sia qualcosa oltre il buio
che i diavoli si misurano per ridere dell’uomo
ed il difetto di nascita di certi esseri
portino all’odio
io voglio credere che dietro ogni condanna ci sia un dono
un atrio di speranza dove prendere il fio
io andrò per ogni strada avanti
mai cercando di temere il fuori
perché in me ci sono tutti i modi
per vedere del vero diavolo il sigillo
non sia l’impuro tremito a farmi sospettare
quanto crudele può essere d’inverno la natura
voi che mi state davanti a muro
non avete mai avuto a che fare con la Donna
orsù andiamo
è canto il privilegio di venire fuori dalla rabbia
fosse la notte la meretrice di turno
io ho dato alla sorte il bene
per altre più o meno scaltre illusioni
io non mi consumo

Seppure all’inizio la via sembri meno lunga, ora la salita impegna l’uomo che delle mani non sente più risposta e delle gambe ascolta il lamento.
Morirò qui, sepolto nelle trame di radici, pensa l’attore avanzando a fatica, la fredda Luna pomicia con gli occhi di un lupo che ipnotizzato che la lecca dallo specchio ghiacciato di un torrente.
Si stringe sul petto il cappotto, butta il cellulare come una pietra, e si lega le mani sotto il petto, cercando nella sopravvivenza di combattere la notte. Ogni passo lui pensa ad un frutto, ogni frutto diventava un drink e ubriaco delle sue alcoliche visioni trascina la gamba con l’inconscio, l’unico al caldo.

(Loran s’illude)

dimmi Joe il bar è aperto
ho qualche spiccio nella tasca destra
voglio dimenticare ogni acrobazia
che la mia vita fa davanti agli altri
versa Joe
un bel bicchiere di rosso
il più adatto tra veri amici
o meglio lascia stappata la bottiglia
perché ho in serbo per lei miglior sorte
pochi pazienti oggi in bottega
eh
sono tutti prigionieri di qualche megera
di qualche astratta convinzione
che facendo i bravi in casa
possano tenersele strette
no
le donne amico mio
stanno solo per loro convinzione
hanno gabbie d’oro per lo sfortunato
dove lasci senza indubbia certezza la memoria

sono abili a maneggiare i corpi
queste pentole
dove noi cuociamo carne
e con lenta ambizione ci divorano da dentro
come se sapessero del maschio la paura
noi siamo fetidi fino al midollo
viviamo in comunione di un sesso
che pensa per contro proprio alla vita
lasciandoci ancorati alle sue brame scogli
ed in balia di tutte le tempeste lasciamo il senso
che nutra ciò che sarà dei vermi
il piacere

(si sente la lieta musica d’un carillon)

Il male non censura altre vite seppure in questa sua arena ne voglia lo scettro e rea di chissà quale pena si erge di meraviglia la fortezza, come un drago muto che tiene la stretta fiamma pronta all’uso.
Alte sono le braccia di bronzi e guglie, a monito rapaci per il nemico occhio, e tremendissime le belve in stasi per la gloria, come una predatore accucciato segue l’ignara preda. Difeso ogni torrione da Dei oscuri, più forti dell’armata fida al Bosco che teme piantare radice nel suo intorno, così che la veduta di facciata è solo meraviglia.
Immenso quel portale sfondare può il silenzio, il varco suo protetto non guarda quel interno, dove osteggia fiero l’albero oramai nudo.
Il sasso ha un diritto di giacenza per fare la guardia al passo del molesto, e sembra aver vita, sebbene nell’inquietudine ogni piccola cosa è schiava a quel calvario.
Tutto è Morte e di Morte ha il velo, tutto si nasconde per non dare sfogo a gioia, come una magica scatola che cela di ogni male qual vaso di Pandora.
Poi tornò il vento a soffiare forte, sulla carne dell’ultimo umano, che sfidare volle la rea gloria, e come un soldato a spada tratta, Eolo prese di mira il corpo, che immediatamente ne assaggiò la lama.

(Loran)

Perduto sono in quest’avida cella, spinto a difendere qualcosa della vita mia corrotta, ma temo il freddo non cerchi di pena, per salvarmi il battito dal fio oscuro.

(la Casa)

Chi sei? Cosa vuoi? Da dove sei venuto? Non temi tu le porte dell’Inferno? Dovrebbe Cerbero sputare dalle sue teste acidi veleni, su quelle pretese che ti portarono fino a qui il passo, o il mitico Caronte berti la linfa da un traghettare quieto le opposte sponde dell’acido Ade? Tu non lo sai ma ci sono tante formule di morte, che renderebbe astratto ogni tuo bisogno, pratiche nere di servigi oscuri, presi ai primi discepoli di Morfeo. Nella non Morte il peggio regna astuto, che prende di parola la casta forza e la usa qual arma per degno guerriero. Se tu avessi lo spirito cattivo, allora potrei chiamarti meritevole eroe, ma scorgo il tremito dell’uomo che dalle viscere al cuore porta bene, e qui né adesso o mai, dovrà entrarvi il buono, perché la profezia potrebbe avverarsi.

(loran si accascia davanti alla porta dicendo le ultime parole prima di svenire)

Se questo fosse mai l’Inferno, è mio di diritto avervi accesso, ma non per prove che mi qualificano al male ma per tutto il dolore masticato da quando madre mi portò all’umano.
Voi mi dovete dare ospizio perché niuno sopra o sotto il mondo è libero da legge che neghi in sfortuna asilo. Dite a Lucifero che un altro servo è pronto. Date ai commensali la parola d’un altro forte schiavo scaltro all’ombra, e dite pure ai demoni che un maggiordomo è pronto, e se questa fosse l’ultima scintilla, a voi è data ora, con o senza merito di circostanza.
(loran sviene)

(l’Autore)

bene
bene
forse è strada
accettare
tutto quello che a destino aggrada
sono innocui certe forze
di speranza
ma è meglio che il male
venda ad onta sopra l’Ego
e si spenga pure l’occhio
che fin troppo è sazio del normale
spinto in un gomito se soffre
ha un solo piccolo ricordo della vita
quel che bello fu della sua sorte
non misera è parsa la bugia
la certezza mente i forti
e dei deboli mastica il colpo
ma nell’umile cementa il seme
che scalfire potrebbe il buio

(le forze dell’Oscurità sussurrano anatemi)

Che possa lui urlare a Luna, vestito di ruvido pellame e grigio, che non ricordi del braccio forma o l’uso, ma della zampa a cui affiderà difesa, non possa costui che trama buono salvarsi dal peccato, che oltre questo recinto si consuma con piccoli ed ossessivi pianti di piacere. Andate pure a dire a Satana in persona, che qui c’è una forza per scardinare la profezia, correte voi ali senza teste, portate il vento a servirvi, e sotto le grandi grotte mescolate ai fuochi le penitenze di quelli che dannati ancora friggono. Cercate il giusto filo che parte dalla radice dell’Angelo Caduto al Gran Portale del Dio, che rifiutò bellezza e certezze ai cari morti; solleticate in mezzo e con forza, vediamo di qual destino ha quest’uomo la portata.
Ma state attenti a non incidere con propria opera la sua speranza; le regole per tale gioco sono bizzarre, tanto che a colui che reca offesa a Parca, parte del peggior oblio soffrirà nell’Ade.
Avanti snobilitate lo straniero, cercate a buona causa la usa pecca, convertito sarà un muratore dietro il Bosco ai lieti viaggianti esca.

La casa ha un sussulto tale che i corvi presero dagli umidi torrioni il volo, il corpo all’ingresso si è intirizzito che fosse morto? Le percezioni delle ombre sono attente e dal portale le lingue demoniache escono per tastare il defunto.

(la Casa)

Figlie del male andate all’assaggio, dite se questo è ancor vivo, se l’aria avesse smesso di fargli buon passaggio, allora aprite la Grande Cripta e datelo ai ratti. Si sazino le altre creature di questa carne calda, così che mite proseguirà il riposo sotto la sanguinaria Pietra, l’Innominato.

(l’Autore)

Ma Loran è ancora vivo e il suo flebo battito basta a ustionare le lingue maledette, tanto che si ritirano con l’urlo degli esseri sconfitti dalla luce.
Il Bosco non si da pace e freme, ma c’era un limite al braccio della radice infernale, e della Casa il dominio aveva su tutto che il confine vedeva limitato dalla pietra.
Le fondamenta tremarono con forza, quanto bastò per frantumare i vetri e i neri cocci finirono dentro il Bosco che tace al volere maledetto.
Di rado da lontano arrivano le note, di quelli che ssentono il Natale, canzoni ed arie allegre, stordiscino la schiera delle ombre.

(la Casa)

Da tanto che mancavo al sentire di festa, ora capisco delle buone prede la cura, gioite gente per saziare il nobile palato di chi ahimè sarà tra noi, comando!
Per la fame di Lucifero, forse è tardi e questa invadenza umana farà voce; nel sotterraneo decreta ancora il freddo sonno della creatura che per smaltire l’Era, divide ogni memoria con il buio.

(voce a Loran ancora accasciato a terra)

stai
pazienta
rami secchi raccontano storie
di quel che ebbe il Regno
ed ora è uno dei non morti
maschere siamo
tu cerca sempre dentro
cerca nel profondo
gratta il gesso della smorfia
e metti colore sulle nostre facce smunte
ossa e rami non trovano riposo
sempre dell’alto cercano i soffitti
c’è del vivo
in ogni cosa morta
che vuole in terra un po’ di pace

chi amò
chi visse da egoista
chi si prese nel mercato dei peccati
nel girone dell’oblio prigionieri
come carne ai vermi
legati alle carcasse

Atto II
Infernale ambizione – umana Gloria

Scena vuota.
La magia stende il suo regno fino ai piedi del bosco. La casa sussurra oscuri incantesimi e la scenografia inghiotte Loran che viene trasportato dentro.
La Voce della casa lamenta i suoi incantesimi.

Nell’ampio salone vuoto le vetrate sono le pagine di vita di quello che la casa non può raccontare.
L’immensità di quello spazio parla come labbra che si contendono aria e silenzi senza temere gli anni di polvere che hanno divorato forse tutto. Non vi sono mobili, segno che non è mai stata abitata o i suoi occupanti erano scapati in fretta? A noi è dato sapere che il pavimento di pietra come le alte vetrate hanno intarsi e figure ed ogni centimetro è la rappresentazione di qualcosa di terribile perché le figure consunte dal tempo o dai passi sembravano ombre con lingue di fuoco e bestie terribili; tutti si ergono intorno alla casa come un mantello di forze demoniache.

La luce rara arriva solo a carezzare i contorni delle cose superstiti. La scala è un’entità estranea e sembra traghettare il visitatore in un mondo superiore incapace di dare maggiore sollievo.

(Loran si desta dentro la casa)

temo ci sia il male nel buio
raccolgo solo il suono dei miei passi
chissà che mondo ci sia oltre
se questo possa cambiarmi la vita
qui hai la sensazione
di non sentirti mai solo

perché
perché immagini intorno a te un’altra presenza
dove sono gli angeli che prego
dove brillano stanotte quelle luci rassicuranti
che hanno smarrito il mio cielo

(le Ombre)

vieni avanti e non temere
pozioni
incantesimi
streghe

i sogni restano della realtà più belli
possa la fiducia aprirti la porta

(l’Autore)

Siamo ospiti di questo, semi eterno pianeta e sempre in cerca di quel mistero che ci sfami. Siamo divorati dall’erba voglio e dall’immutata insoddisfazione di ciò che si possiede.
Alcun uomo può rifiutare l’invito, d’indagare laddove altri han fallito, perché è insita nello spirito la superbia, di poter superare nella volontà il proprio Dio.

(Loran cerca una porta d’uscita ma curioso s’inoltra nei corridoi della casa fino alla scala che salendo gli mostra la storia del casato che l’ha costruita)

(l’Autore)

il ruggito dell’ombra
è come il ruggito di un popolo
nulla sovrasta di quest’onda la forza
se non dei martiri in luce i bagliori
il potere di questo sogno è un fuoco lento
che ha nella forza del desio
nutrimento

La Casa all’improvviso si trasforma in abile alleata del suo ospite. Lo conduce per le decine di stanze senza padrone, gli fa sognare chi o cosa ha vissuto la bellezza di quella che all’epoca deve essere stata una regia.

(Loran)

non v’è nulla qui
tutto è andato perduto
sono fuggiti dal tempio
inseguiti da un male oscuro
ma vedo una tale ricchezza di forze
nonostante il poco rimasto in piedi
ho la sensazione d’aver ritrovato
ciò che in vite passate fu già mio

(la Casa all’Oltretomba)

Svegliarsi il mio Signore deve ora. Ci sono cose urgenti in sospeso col suo destino; c’è sangue caldo che striscia sui suoi pavimenti, come se gli fosse stato riconosciuto tale onore.

Dalle fondamenta della casa partì un lamento di dolore.

(Loran arriva alla stanza dei quadri qui resta impressionato dalle maestose e gigantesche cornici vuote e tele sfregiate ma dentro un piccolo corridoio su una parete di pietra trova un minuscolo quadro raffigurante una nobile figura)

(Loran)

Credo tu abbia sofferto.

(Victor)

Che tu sia diverso?

(Loran)

Qual è il tuo nome?

(Victor)

Vorrei non ricordare.

(Loran)

Sei tu il Signore di questo posto?

(Victor)

Io sono ciò che ti tieni dentro.

(Loran contempla la bellezza inverosimile di quella creatura e non si riesce a capire se è uomo o donna)

Non ho mai visto nulla di simile.

(Victor)

Solo ciò che la Morte cancella vive per sempre.

(Loran)

Sei prigioniero di questo quadro? C’è un sortilegio sul tuo nome?

(Victor parla poi la sua influenza svanisce)

Io regno da quando il tempo s’è fatto per l’uomo nemico; non passo al giorno la fede, ma colgo le gemme dell’ombra, col loro palpito caldo; altrimenti dormo.

(Loran è ipnotizzato dalla figura e s’accascia contro il muro di pietra restando in silenzio – si domanda la vera storia di quel posto)

La casa ebbe un fremito tremendo, fuori si sentirono i fulmini d’una forte tempesta, e una pioggia violenta scote del vetro la faccia. L’atmosfera diventò surreale e conquistò l’orbita umana oramai abituata al buio.
L’uomo ripresosi dalla crisi ipotermica, non pensò nemmeno a scappare da quel posto infestato, e continuò a sognare mirando il quadro e la Casa; la Casa che nutrita dalla sua curiosità capiva che un’anima così forte poteva esserle indispensabile, per nutrire proprietario e fondamenta, per altri secoli.

(solo la voce amara di Victor)

chiudi gli occhi
creatura
ascolta questo è il silenzio
la dimora non parla di male
aspetta solo l’accendersi d’una stella
la miglior aria qui è il tuo sorriso
ci sono amanti che s’amano solo coi brividi
lasciando che il tremar della carne
li nutra per sempre

(le Ombre a Loran)

dacci la tua anima
servire potrai all’Inferno
sfilare vedresti i ricordi migliori
senza temere le muffe
congiungiti a colui che temono tutti
rivalsa la notte non avrebbe
sul coraggio dell’eterno
per la beata casta

(l’Autore)

Loran capisce che c’è qualcuno la dentro, che lo spia, che lo segue. Non teme rivalsa dei diavoli, ma comprende che c’è una forza maggiore a muovere gli ingranaggi del tempo in quel posto; una forza che dovrebbe temere ma che non gli fa affatto paura.

(Loran che scende verso Grande Salone)

quale destino mi ha voluto qui
ha tenuto aperte porte estreme
non voglio spezzare la catena
di cui non tengo ancor il segreto
forse c’è una gioia maggiore in questo tempio
o una dannazione eterna per la mia vita
ma al peggiore dei mostri ho saltato le trappole
questa condanna mi sembra meno vile
mi sento intrappolato nella magia
l’oscuro invito mi ha drogato il senso
tale piacere si nutre dal mio sangue
che limitare non vuole le sue voglie

(nella Grande Sala c’erano sono solo uno specchio ed una statua di marmo con le sembianze del padrone di casa)