Con il suo romanzo d’esordio in uscita dal titolo “Il sapore dolce e amaro del destino” edito da Prospettiva Editrice, la giovane Francesca De Crescenzo scrittrice della Aster Academy, sarà al Salone del Libro di Torino.
Francesca De Crescenzo, classe 1988 di Civitavecchia (Rm) esordisce nelle prossime settimane con il romanzo “Il sapore dolce amaro del destino” (Prospettiva Ed.). Trascorre l’infanzia nel cortile dell’oratorio salesiano sotto casa con un pallone da calcio sempre tra i piedi e, proprio lì, a soli sette anni s’innamora della musica, una chitarra classica diventa la sua migliore amica con la quale scoprirà un mondo parallelo che diventerà come una valvola di sfogo e il miglior modo per comunicare se stessa.
Rimane continuamente affascinata dagli intrecci della vita, dal come un singolo incontro può cambiarti per sempre, dal valore e dall’emozione che racconta una persona in modo diverso da un’altra per uno stesso e semplice gesto, arrivando anche a immortalarli in uno scatto. Così, tra gli studi e gli allenamenti, ritaglia del tempo per creare il suo nuovo mondo, che diventerà come una vera
e propria necessità, fatto di personaggi e intrecci basati da una sola frase ascoltata o un gesto visto, creando delle storie che, però, tiene gelosamente per sé, come se temesse che qualcuno potesse entrare in quel suo mondo e distruggerlo. Col tempo, però, si fa largo dentro di lei il desiderio e il bisogno di non restare più nascosta nell’ombra mentre quella passione per la scrittura si trasforma in un vero e proprio amore del quale non riesce a farne a meno. A ventidue anni tira fuori da una scatola, piena di quaderni e appunti, il primo testo scritto a soli quattordici anni di getto e senza pensarci, rafforza l’intelaiatura riguardante i personaggi, i luoghi, la trama e gli intrecci delle loro vite e, dopo settimane che diventeranno mesi e poi anni, la storia inizia ad avere una nuova essenza.
Senza lasciarsi abbattere dalle mille difficoltà, dai continui cambi di lavoro, continua a far crescere la sua passione per la scrittura e la fotografia, inizia a inviare il proprio testo a case editrici di cui aveva sentito parlare o che aveva trovato su internet. Dopo qualche settimana arrivano le prime proposte che, tuttavia, hanno sempre un qualcosa che la porta a rinunciare.
Un paio di anni dopo, nel 2014, inizia a domandarsi se quella fosse davvero la strada giusta o se stesse semplicemente puntando troppo in alto quando, grazie a un’amicizia in comune, conosce lo scrittore Alessio Follieri che le da i primi consigli riguardo un’eventuale scelta di un editore e le spiega a grandi linee come funziona quel mondo. Follieri inizia a seguirla lungo il suo percorso, sempre e solo facendola camminare con le sue sole gambe diventando per lei come un “fratello maggiore”. Grazie alla sua esperienza nel settore la porta ad ampliare il suo sguardo sulle mille sfaccettature della letteratura, soprattutto italiana, facendole acquisire una visione diversa che la farà maturare ancora di più fino a portarla al primo passo verso quel sogno che spera possa diventare realtà.
Il romanzo “Il sapore dolce e amaro del destino”
“E’ una storia di amicizia che si trasforma in amore, un sentimento mutevole che cresce con i suoi protagonisti: Jake e Paige. Il loro incontro, le loro vite che si intrecciano seguendo le vicissitudini adolescenziali proiettate verso la maturità. Talvolta vicini, altre lontani, Jake e Paige maturano e con loro si dispiega un sentimento in continuo cambiamento ma immutabile nella sostanza, dove in ogni passo e vicenda non c’è mai nulla di scontato. Il loro essere vicini e lontani talvolta nel loro essere se stessi, altre costretti dalle scelte ma anche da una condizione di Paige che si rivelerà in tutta la sua drammaticità. Il destino segna mutevolmente il passo della loro storia d’amore, fino all’epilogo più inaspettato, rivelando l’esistenza dell’amore più grande che abbatte la barriera contro ogni possibile distanza”.
INTERVISTA
D: Qual è stato il momento in cui hai pensato, ho in mente una bella storia ne farò un libro?
R: Non c’è stato un momento in particolare, piuttosto è stato un percorso graduale che mi ha portata al voler provare a creare una storia. Fin da piccola ho sempre amato disegnare, sentivo il desiderio di trasmettere qualcosa anche se non avevo ben chiaro l’entità di ciò che mi portavo dentro. Verso i quindici anni iniziai ad aggiungere dei brevi pensieri, piccole frasi che sentivo fortemente legate ai disegni. Col tempo quei piccoli pensieri, di una o due righe al massimo, diventarono dieci righe, una pagina intera e poi un quaderno. Ovunque andassi mi soffermavo a osservare le persone e i loro comportamenti, mi attirava l’emozione nascosta dietro un piccolo gesto che apparentemente poteva sembrare banale e, senza rendermene conto, mi ritrovavo con la necessità di dover scrivere quello che suscitava dentro di me. Intanto dentro di me, quel desiderio di trasmettere qualcosa era diventato ancora più forte e così cominciai a buttare giù le fondamenta per quella che non avrei mai immaginato potesse diventare una storia.
D: Nella scrittura del tuo romanzo quanto c’è di autobiografico o di storie realmente vissute?
R: Di autobiografico o di storie vissute direi poco e niente. Ogni tanto, dove sentivo che potevo farlo senza uscire dai binari della storia, ho inserito nel contesto dei miei pensieri personali, ma per il resto ho sempre e solo lasciato volare la mente senza imporre alcun limite. L’unico punto che ritengo fortemente mio è la chiave che ho voluto dare alla storia, non so a quante persone arriverà il messaggio che vorrei mandare, alla fine ognuno di noi ha un approccio diverso dall’altro rispetto a uno stesso libro o anche a una frase ma, comunque andrà, vorrei riuscire a lasciare un segno.
D: Perché la decisione di ambientare il romanzo negli Stati Uniti e non in Italia?
R: Nella prima stesura il luogo non era definito, in realtà non avevo nemmeno pensato a dove poterlo ambientare. Poi ipotizzai di inventare dei luoghi che avessero le caratteristiche che volevo, ma accantonai subito quell’idea. Alla fine mi lasciai semplicemente guidare dal mio desiderio di vedere il mondo, anche se non ne ho mai avuto l’opportunità di farlo come speravo, mi ha portata a cercare dei luoghi che si avvicinassero a quelli descritti nella storia. Così, anche se non fisicamente, iniziai a “viaggiare” grazie ad internet, a navigare in rete per ore e ore arrivando a scoprire luoghi, almeno per me, sconosciuti fino a trovare quelli che immaginavo perfetti per la storia. Ricordo solo di aver pensato “sono loro”.
D: Nella protagonista c’è un po’ di Francesca?
R: Forse l’unica cosa che abbiamo in comune è il credere fermamente nella forza di un sentimento profondo come l’amore, il credere che niente e nessuno possa sopprimerlo nonostante tutto, nonostante la distanza, il tempo e le difficoltà della vita. Per il resto direi di no, siamo l’una l’opposto dell’altra, lei è timida e riflessiva; io tutto il contrario, ho un carattere a dir poco lunatico e ribelle, spesso agisco d’istinto senza pensare alle conseguenze ma in tutto quello che faccio cerco di dare sempre il meglio. Probabilmente, a livello caratteriale, mi avvicino di più a lui piuttosto che a lei.
D: Perché hai sottolineato molto nella tua storia d’amore l’elemento “separazione” o “perdita”?
R: Perché penso che ognuno di noi capisca il vero valore del sentimento che prova solamente quando lo sta perdendo o quando non ce l’ha a portata di mano. Quando si perde o si è lontani da una persona che riteniamo davvero importante, senza rendercene conto, siamo portati ad analizzare la situazione e alle emozioni che proviamo. Purtroppo questo non avviene molto spesso quando quella persona è ad un passo di distanza, penso che diamo per scontate un po’ troppe cose finendo col non dargli il giusto valore, ma ho imparato che niente è da dare per scontato, anzi.
D: Cosa pensi ci trovino i lettori nel tuo libro? Cosa pensi di portare all’attenzione dei lettori?
R: Spero ci trovino degli amici con cui crescere dall’inizio fino alla fine. Magari potrebbero trovare delle risposte, o semplicemente trovare la forza di credere davvero in un sentimento e combattere per difenderlo solo perché ne vale la pena, a prescindere da tutto e tutti.
D: Hai qualche altro lavoro nel cassetto? Puoi darci qualche accenno?
R: Sì, qualche è il termine esatto. Ho alcuni lavori più o meno completati, di alcuni ho solo l’idea, di altri già una prima traccia. L’unica cosa che posso dire è che sono innamorata follemente dell’amore nella sua essenza più profonda, della potenza che racchiude in ogni singola sfumatura. In questo libro ho voluto affrontare un lato in particolare dell’amore, cioè la spinta a voler donare la propria vita per la persona che si ama. Negli altri vorrei approfondire tutte le altre possibili angolature come il superare le proprie paure o il riuscire ad abbattere i fantasmi del passato che, troppo spesso, ci impediscono di andare avanti ed essere davvero felici.
D: Le tue letture preferite e se puoi indicarcelo il libro che ti ha colpito di più.
R: Il mio scrittore preferito è Nicholas Sparks, lo ritengo uno dei migliori del suo genere e amo il come riesca ancora a scrivere senza mai ripetersi. Oltre ai suoi romanzi che vanno prettamente sul genere romantico, leggo un po’ di tutto, dai fantasy ai thriller. I libri a cui sono particolarmente legata sono due: Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry e Il Bambino che imparò a colorare il buio di Nicholas Sparks e Billy Mills. Il Piccolo Principe è il primo libro che lessi e subito me ne innamorai, nel corso degli anni l’ho riletto tantissime volte e, ogni volta, mi attirava una frase sempre diversa da quella precedente. Il Bambino che imparò a colorare il buio lo lessi per la prima volta dopo una perdita molto importante nella mia vita, ammetto che lo acquistai perché mi attirava il titolo. Arrivata all’ultima pagina capii che era destino, mi aiutò a superare qual momento molto difficile per me, m’insegnò a colorare il mio buio e, ancora adesso, ogni volta che ne sento il bisogno lo leggo come se fosse la prima volta.
D: Che aspettative riponi nel tuo libro?
R: Un libro è sempre un qualcosa di apparentemente molto semplice, ma dietro c’è un lavoro davvero enorme. È un po’ come un figlio, lo vedi nascere, crescere e mutare fino a trovare la sua vera essenza diventando quello che deve essere, poi deve solo spiccare il volo. Questo libro è stato un continuo mutamento, un continuo lavoro per migliorarlo e farlo rendere al massimo. Mi fa strano pensarlo adesso come pronto a “volare”, spero che possa essere qualcosa di più che un libro come tanti altri, che possa lasciare un qualcosa a tutti quelli che vorranno dedicargli del tempo per ascoltare quello che ha da dire.
D: E’ in uscita in queste settimane e subito sarai al Salone Internazionale del Libro di Torino con la Prospettiva Editrice, come vivi quest’esperienza così immediata all’uscita del tuo primo libro?
R: Ammetto che non me l’aspettavo e, quando mi hanno comunicato il voler portare il mio libro al Salone di Torino, faticavo a crederci. Di certo è un’occasione grandissima, mai avrei immaginato di partecipare a un avvenimento così importante in concomitanza con l’uscita del mio primissimo libro. Proprio per questo sono un’altalena di emozioni, da una parte mi sento molto agitata perché la vedo come un’esperienza davvero grande, molto più grande di me o delle mie capacità; dall’altra parte, invece, ne sono “straentusiasta” e non vedo l’ora di vivermi quest’esperienza unica.
“Il sapore dolce e amaro del destino”
di Francesca De Crescenzo lo trovi
al Salone Internazionale del Libro di Torino
PROSPETTIVA EDITRICE
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