Dal quotidiano “IL PICCOLO” del 19.3.2017
Consegnata la dichiarazione di guerra il 23 maggio 1915, la notte stessa punte avanzate dell’esercito italiano si avvicinarono al confine del 1866, superandolo in vari punti. Per storiografia corrente, in quel momento una rapida avanzata sarebbe stata possibile per la preponderanza rispetto le poche forze austro-ungheresi, massivamente impegnate in Galizia. Boroevic abbandona infatti subito la piana indifendibile, arroccandosi sulle montagne. A Villesse, una prima rapida occhiata la danno alcuni cavalleggeri la mattina del 25, chiedendo acqua da bere all’osteria di Fonzari, facendola però assaggiare prima alla moglie dell’oste. Le istruzioni erano infatti di malfidare i locali, in quanto il Friuli orientale era considerato “la parte più austriacante, anzi, forse, l’unica parte austriacante delle terre irredente”. Il paese che dai 1.300 abitanti, con 300 arruolati e molte famiglie riparate altrove era ridotto a pochi uomini più donne, vecchi e ragazzini a custodire case e bestiame, viene occupato la sera del 27 da un migliaio di fanti della Pinerolo, al comando del maggiore Domenico Cittarella, che immediatamente traduce in ostaggio il podestà Marcuzzi il parroco Plet. Alcuni spari il 28 maggio e il giorno dopo la piena del Torre, convinsero il maggiore della collaborazione tra abitanti e nemico. Fece barricare le strade e radunare tutti i maschi dai sedici in su. Chiamato il segretario comunale Giulio Portelli, dal raffronto tra i registri d’anagrafe e i 149 presenti, nel constatare i maschi abili tutti nell’esercito austriaco, nella certezza che gli abitanti fossero tutti “fieri austriacanti”, dispose gli uomini a gruppi sulle barricate come “scudi umani”. Al culmine di un temporale, verso mezzanotte una sparatoria con cinque morti tra gli ostaggi, tra i quali Portelli, accertando poi una indagine come non vi fosse traccia del nemico e concludendo accidentale l’evento causa stanchezza e nervosismo dei soldati. Il giorno dopo, in una perquisizione fu trovato il figlio di Portelli, Severino di 23 anni, che sospettato di spionaggio venne fucilato davanti al cancello del cimitero. Citando l’importanza di Camillo Medeot, che a fine anni Sessanta rese nota tale scomoda verità, Lucio Fabi nel suo bel testo “I fucilati di Villesse” del 2015, descrive scientificamente la vicenda ricordando come per decenni i fatti dei “fassinârs” vennero tenuti nascosti: “nessun procedimento penale, nessun provvedimento per quell’ufficiale che ordinò l’eccidio dei cinque civili alle barricate e del sesto davanti al cimitero. Tutto fu mantenuto sotto silenzio, rimosso e dimenticato nei discorsi ufficiali come nei libri di storia, perché ancora a guerra in corso e soprattutto nel patriottico dopoguerra doveva trionfare l’immagine di un Paese vittorioso, il regno d’Italia ben presto fascista e imperialista, senza macchia né peccato originale nei confronti delle popolazioni ‘redente’ con le armi e la propaganda”. Infatti, sulla modesta tomba nascosta dalla cappella del cimitero, la lapide di Giulio Portelli e del figlio riporta la fuorviante frase “colpiti erroneamente da piombo italiano il 29 e 30 maggio 1915”, mentre la lastra collocata un anno fa sulla piazza principale di Villesse, riporta la dizione più appropriata di “vittime innocenti del piombo italiano”.
Le fucilazioni di Villesse tra il 29 e il 30 maggio del 1915
Pubblicato in Politica |