C’è riguardo al fenomeno dell’immigrazione, diciamolo, molta confusione sui termini che si usano sui giornali o anche in discorsi pubblici, interventi verbali o sulla stampa tramite lettere ai giornali, anche da parte di chi svolge una funzione pubblica, assessori, consiglieri di enti locali che non dovrebbero permettirsi imprecisioni e tantomeno fare, da bravi padre Zappata, i maestrini ad altri sulla lingua italiana e sui termini giuridici, usati spesso alla stregua di paraventi per nascondersi dietro un dito. La confusione semantica lessicale ingenera poi automaticamente, là dove si sottilizza o si veste i panni dell’agit-prop politico, situazioni di incomprensione o di fraintendimento che possono portare ad atteggiamenti di rifiuto a priori o di rigetto nella cittadinanza coinvolta, con il solo risultato di danneggiare chi già vive una condizione precaria. Il primo compito di chi occupa le istituzioni dovrebbe essere quello di spiegare le ragioni di ciò che sta accadendo e del proprio intervento e non cercare la contrapposizione, come è accaduto ad esempio a Brembio nell’assemblea pubblica di sabato scorso, nella speranza poi fare le vittime, cosa che nell’immaginario politico sembra essere un ruolo particolarmente ricercato. Esempi di questa vera e propria prassi se ne possono trarre ampiamente, senza andare molto lontano, dai giornali locali che informano sul Lodigiano, particolarmente nelle rubriche delle lettere, che più che dei lettori, sono un canale usato da partiti ed istituzioni locali come altoparlante, in aggiunta spesso alle veline già pubblicate in cronaca.
Provare a fare chiarezza, dunque, appare una cosa utile per instaurare un rapporto corretto tra comunità che vive l’attuazione di una accoglienza e chi viene accolto. Qui si limiterà l’operazione di chiarezza al solo contesto lessicale, che non è poca cosa pensando ai molti modi di dire, citazioni e provverbi che fanno ricca la nostra quotidiana espressione: parole come pietre o uccide più la lingua che la spada.
Il Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR), un’organizzazione umanitaria indipendente costituitasi nel 1990 in Italia, su iniziativa delle Nazioni Unite, con l’obiettivo di difendere i diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo, che lavora per favorire l’accesso alla protezione delle persone che fuggono da guerre e persecuzioni e per contribuire a costruire condizioni di accoglienza e integrazione dignitose, nel pieno rispetto dei diritti umani, ha pubblicato un glossario che può essere usato come riferimento per un utilizzo corretto dei termini.
Il significato del termine “migrante”, ad esempio, viene così illustrato: “Termine generico che indica chi sceglie di lasciare il proprio Paese per stabilirsi, temporaneamente o permanentemente, in un altro Stato. Tale decisione ha carattere volontario, anche se spesso dipende da ragioni economiche, avviene cioè quando una persona cerca in un altro paese un lavoro e migliori condizioni per vivere o sopravvivere”. Tra migrante e “profugo” vi è, dunque, una sostanziale differenza in quanto quest’ultimo termine è così inteso: “Termine generico che indica chi lascia il proprio paese a causa di eventi esterni (guerre, invasioni, rivolte, catastrofi naturali)”.
Per “richiedente asilo” si intende: “Colui che fugge dal proprio paese e inoltra, in un altro Stato, una domanda di asilo per il riconoscimento dello status di rifugiato. La sua domanda viene poi esaminata dalle autorità competenti di quel paese (in Italia, la Commissione Centrale per il Riconoscimento dello Status di Rifugiato). Fino al momento della decisione in merito alla domanda, egli è un richiedente asilo”.
C’è ancora un termine che talvolta si sente usare, “rifugiato”, parola che ha questo significato: “Il rifugiato è colui che è costretto a lasciare il proprio paese a causa di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le opinioni politiche (Convenzione di Ginevra, 1951). A differenza del migrante, egli non ha scelta: non può tornare nel proprio paese d’origine se non a scapito della propria sicurezza e incolumità. Dal punto di vista giuridico-amministrativo, un rifugiato è una persona cui è riconosciuto lo status di rifugiato”.
C’è ancora un aspetto da precisare: i migranti non sono regolari o irregolari, ma sono migranti regolarmente o irregolarmente presenti sul territorio. Come precisa il CIR: “Gli immigrati regolarmente presenti sono coloro che risiedono in uno Stato con un permesso di soggiorno rilasciato dall’autorità competente. I migranti irregolarmente presenti hanno, nella maggior parte dei casi, permessi di soggiorno e visti scaduti e non rinnovati. È importante ricordare che si stima che circa il 90% dei migranti irregolarmente presenti siano persone che avevano un permesso di soggiorno che non sono più stati in grado di rinnovare, i cosidetti overstayers”. Spesso si apostrofa i migranti non regolarmente presenti sul territorio con la parola “clandestino”. Come sottolinea il CIR, clandestino non è un termine giuridico, ma un termine utilizzato dai mezzi di comunicazione e da molti politici per definire, e stigmatizzare, i migranti irregolarmente presenti sul territorio o anche coloro che, in fuga da guerre e persecuzioni, arrivano in Italia senza documenti o con documenti falsi, i “sans papiers” (senza documenti), come sono chiamati in Francia o i “non-documented migrant workers” (lavoratori migranti irregolari), definizione suggerita dall’Onu.
Un uso corretto dei termini, accompagnato da una informazione puntuale sulle presenze e sugli interventi di accoglienza da parte di istituzioni ed enti locali aiuterebbe a riportare in un ambito di positività le centinaia di migliaia di disperati, ospitati nelle nostre comunità, che cercano una nuova vita nel continente europeo, togliendo a queste persone una patente a priori di persone rappresentanti un pericolo per la sicurezza delle comunità dove l’accoglienza è in atto.
Migranti: quando le parole usate impropriamente sono pietre
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