Fino a ieri, una giornata qualsiasi, trascorsa tra impegni e progetti per il futuro.
Oggi, il sole è sorto alla medesima maniera, le nuvole nel cielo sembrano le stesse
e l’aria, accarezza con mitezza le foglie degli alberi che si muovono sonnolente
quasi sussurando.
Però nel cuore, nello sguardo, nell’atteggiamento, qualcosa se pur impercettibile
è cambiata ed entrando nella sala d’attesa del day Hospital – reparto oncologia medica –
dell’ospedale dell’Addolorata di Roma, si apre uno scenario nuovo, con tante persone,
che, con negli occhi la speranza, siedono su quelle sedie scomode, in attesa di
passare attraverso una burocrazia massacrante ed a volte sorda alle loro sofferenze,
nel luogo dove su poltrone anatomiche che quasi si muovono da sole, guarderanno
quelle “buste” di medicinale appese ad un albero di ferro, insensibile ai loro sguardi,
a volte smarriti, altre volte penetranti come aghi.
Uno sportello a vetri, nella sala d’aspetto, separa i pazienti dagli addetti ai lavori; infermieri
ed infermiere che ogni giorno ripetono, quasi fosse un motivo orecchiabile o un “tormentone”, le
stesse indicazioni e sono lì, per assorbire le giuste perplessità di pazienti che per ore,
attendono di sapere, quando potranno accedere alle terapie loro proposte. Il personale
addetto, è in gamba, ma se viene loro rivolto un quesito circa i tempi ancora di attesa,
tergiversano, offendendo, senza volerlo, l’intelligenza altrui.
I pazienti sono lasciati da soli a contare le ore, a pensare alle proprie preoccupazioni,
a far finta di leggere riviste o a rigirarsi tra le mani, cellulari che sembrano attenuare
le estenuanti e pesanti attese, senza però riuscire nell’intento.
Gli orari degli appuntamenti con i medici e le terapie, sono come i numeri vincenti di una
riffa, imprevedibili e costantemente inesatti. A volte un appuntamento dato per le 8 e trenta
della mattina, slitta, senza spiegazioni di sorta, oltre le 11 e trenta, mezzogiorno.
La disorganizzazione, regna sovrana: i responsabili? Tutti e nessuno…
Il personale medico, entra nella sala d’attesa del day hospital, chiamando i pazienti per cognome;
sagome di esseri viventi, si avviano con calma (sono visibilmente e giustamente stanchi),
raggiungendo il medico che poi, li accompagna nella propria piccola stanza, per
controllare il loro stato di salute; dedotto, il più delle volte, dalla lettura veloce della cartella
clinica che spesso vedono per la prima volta.
I medici non seguono sempre gli stessi pazienti, ma come in una pesca “miracolosa”,
vedono di frequente consegnarsi la cartella clinica, un attimo prima… Allora ecco che
alcuni errori, se pur spesso di lieve entità, si verificano: dimenticano ad esempio, di
comunicare al paziente la terapia cortisonica dopo la chemio; nell’esame del sangue,
non trascrivono anche quello relativo alla creatinina (quando occorre)– ma soltanto
l’emocromo. Oppure, non richiedono per tempo accertamenti diagnostici strumentali,
tipo la Tac, obbligando il paziente, a sottoporsi (prima della tac), ad un’altra seduta di
chemio (quattro, se non cinque, invece delle tre di prammatica).
Si legge su tanti organi di stampa anche di settore, che i malati di cancro, vanno
seguiti in modo tale da non offendere la loro dignità; devono essere informati sulle terapie, sui
benefici delle stesse e sugli eventuali effetti collaterali negativi. Si dovrebbe stabilire, tra medico
e paziente, un feeling, un rapporto aperto e di fiducia.
Assistiamo invece purtroppo, a frettolosi colloqui tra medico e paziente, troppo formali
e poco esaustivi da tutti i punti di vista. E’ vero! Il tempo a disposizione, è ridotto: pochi medici,
troppi pazienti. Questa equazione va risolta!
Qualche medico, con il classico camice bianco, a volte sbottonato per comodità, assume atteggiamenti
che provocano in alcuni pazienti predisposti, già minati da un male debilitante, un sentimento di sottomissione
emotiva, che di certo non fa bene…anzi, altera il percorso della terapia rendendola una condizione di buio
interiore e di insana rassegnazione.
I medici del reparto oncologico dell’ospedale dell’Addolorata, prima di far eseguire al paziente
la terapia, controllano gli esami di rito già in loro possesso, e solo in quel momento, calcolano
le percentuali dei farmci da usare. Perchè, avendo gli esami dal giorno precedente, non fanno i loro
calcoli prima evitando così attese estenuanti ai pazienti che spesso non possono sottoporsi alla
terapia in tempi accettabili? Anche la farmacia interna, consegna molto spesso i medicinali al reparto,
con notevole ritardo.
Ecco perché in queste righe, ho asserito che l’organizzazione lascia a desiderare; mi sono messo
nei panni di un qualsiasi paziente; però, per doveroso rispetto, non si dovrebbe andare oltre ai
limiti dettati dalla consapevolezza dei temi trattati.
Il personale medico e paramedico del day hospital oncologico, è attivo e preparato. Troppo spesso
però, tutto è lasciato all’iniziativa ed alla professionalità dei singoli.
Il Dottor Mauro Minelli responsabile f-f del reparto di oncologia medica, mi risulta che ha
partecipato ad un concorso interno per diventare primario a tutti gli effetti ed abbia brillan-
temente superato il colloquio, risultando anche al primo posto, relativamente al punteggio
raggiunto.
Molti pazienti si chiedono dove e quando sia possibile, rivolgersi a lui, per delucidazioni
domande e/o consigli.
Ringrazio tutti i pazienti che mi hanno parlato delle loro perplessità e dei quali, consevo un
doveroso anonimato.
P.S.
Un paziente, giorni fa, nel corridoio dove ci sono le stanze dei medici e
quelle per le terapie, fermò un’ infermiera, ponendo la seguente domanda:
ma il tempo che trascorre perchè arrivino i farmaci dalla farmacia é sempre così
lungo? L’infermiera senza fermarsi… e di spalle, rispose con un secco, stizzito
ed irriguardoso Sì! I pazienti sono esseri umani… o no..?
Forse era stressata! In questo caso si sarebbe dovuta sottoporre ad idonea terapia.
In un pomeriggio qualsiasi, il marito di una paziente, telefonò al reparto di oncologia medica
dell’Addolorata, per chiedere un parere medico. Gli rispose un infermiere che passò, per
competenza, la linea alla dottoressa di turno. La domanda fu la seguente: “ mia moglie
ha un rossore evidente sul viso e sul petto. La dottoressa (senza dire il suo cognome), comunicò
all’interlocutore, che si trattava di una normale reazione al cortisone; poì aggiunse
inaspettatamente: la lasci in pace! E tolse la comunicazione, prima di una educata e magari,
stupita replica.
Mi è stato chiesto di risalire all’autrice di questa assurda risposta; fuori tema, ineducata
ed irrispettosa… soltanto per interagire con lei e cercare di comprendere la motivazione di tale
atteggiamento irresponsabile e “gratuito”.