Acireale (Sicilia) 13 giugno 2016

Principi Costituzionali dal sapore antico. (N. Gambino)

La Costituzione odierna della Repubblica Italiana contiene alcuni principi chiaramente mutuati dallo Stato sociale del ventennio fascista. Tra le altre, si ricordano le seguenti norme: 1) l’art. 1 della odierna Costituzione afferma che la Repubblica è fondata sul lavoro. L’art. 3 della Costituzione della Repubblica Sociale Italiana proclamava che la Repubblica aveva, tra gli scopi superiori, quello del benessere del popolo italiano. L’art. 17 della Costituzione della RSI dava rilevanza, per l’appunto costituzionale, al lavoro con la istituzione della Camera dei rappresentanti del lavoro, mentre l’intero capo IV, composto di ben 32 articoli, si occupava di produzione e di lavoro; b) l’art. 36 della odierna Costituzione afferma il diritto di ogni lavoratore a una retribuzione dignitosa, a una durata massima della giornata lavorativa, al riposo settimanale e a un periodo di ferie retribuite. La “Carta del Lavoro” del 1927 proclamava il diritto del lavoratore ad avere un salario corrispondente alle normali esigenze di vita, al riposo settimanale, alle ferie retribuite, al trattamento di fine rapporto; c) l’art. 37 della odierna Costituzione afferma il diritto della donna e dei loro bambini ad una speciale adeguata protezione per l’adempimento dell’attività lavorativa e il successivo art. 38 il diritto dei lavoratori ad avere assicurati i mezzi necessari in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. La “Carta del Lavoro” prevedeva: “1. il perfezionamento dell’assicurazione infortuni; 2. il miglioramento e l’estensione dell’assicurazione maternità; 3. l’assicurazione delle malattie professionali e della tubercolosi come avviamento all’assicurazione generale contro tutte le malattie; 4. il perfezionamento dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria; 5. l’adozione di forme speciali assicurative dotalizie pei giovani lavoratori”; d) l’art. 46 della odierna Costituzione riconosce il “diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”. Il principio, già sancito al punto 7 della “Carta del Lavoro” (“…Il pre¬statore d’opera, tecnico, impiegato od operaio, è un collaboratore attivo dell’impresa economica”), fu ribadito al punto 12 del “Manifesto di Verona” del 1943 (“In ogni azienda -industriale, privata, parastatale, statale- le rappresentanze dei tecnici e degli operai cooperano intimamente -attraverso una conoscenza diretta della gestione- all’equa fissazione dei salari, nonché all’equa ripartizione degli utili….”) e agli articoli 125 e 134 della Costituzione della Repubblica Sociale Italiana laddove si dichiarava la socializzazione della gestione delle imprese private e pubbliche e la compartecipazione agli utili dell’impresa da parte dei lavoratori. Ebbe il suo culmine nel decreto legislativo del 1944, che dettò norme dettagliate sulla socializzazione.
Come mai queste e altre norme nella Costituzione di oggi, seppure dal sapore antico? Il fatto è che i Padri costituenti del 1947/1948, seppure antifascisti, erano i figli di quei Padri costituenti dello Stato sociale del ventennio fascista. In loro, senza saperlo e senza volerlo, rimasero inculcati quei sani e validi principi proclamati dalla “Carta del Lavoro”, dal “Manifesto di Verona” e dalla Costituzione della RSI. Ecco perché l’odierna Costituzione contiene nel suo seno principi apprezzabili ed ecco perché i nuovi costituzionalisti, che sono figli del nulla, hanno approvato una riforma costituzionale che il prossimo referendum autunnale dovrà cestinare.
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Nando Gambino