RECENTI SVILUPPI NELLE RELAZIONI SINO-VATICANE: LA DIPLOMAZIA DELL’ARTE (Carlo Marino)
Tra Vaticano e Cina il dialogo può dirsi ormai avviato da molto tempo. Si è potuto di recente assistere a grandi progressi tra Pechino e Città del Vaticano, un tempo davvero impensabili. Attualmente è possibile affermare, senza ombra di dubbio, che ci sono attivati tranquilli, amichevoli ed efficaci canali di comunicazione. Fino al 2015 la questione cattolica non presentava grande interesse per l’establishment cinese.
L’anno della svolta può essere considerato il 2015, anno in cui la visita del Papa negli Stati Uniti oscurò, dal punto di vista mediatico, la visita di Stato di Xi Jingping.
Così, negli ultimi tempi è andato accentuandosi l’interesse della Repubblica Popolare Cinese per il Vaticano, in particolare, secondo alcuni analisti, per il “soft power” dimostrato dal Vaticano a livello globale. Anche la recente visita di Papa Francesco in Myanmar, paese con cui Pechino intrattiene stretti rapporti, ha suscitato commenti positivi (forse perché nel Rakhine occupato dai Rohingya è pianificato il transito di oleodotti cinesi).
La questione dei rapporti tra Vaticano e Cina, infatti, non concerne soltanto la gestione dei cattolici cinesi. Se il Vatitano è portatore di un enorme potere mediatico, ciò per i cinesi rappresenta sia un fattore positivo che negativo. La Cina vuole essere superpotenza globale ed ha quindi necessità di agganciarsi ad una superpotenza mediatica quale è il Vaticano.
La questione dei rapporti tra Vaticano e Repubblica popolare cinese è stata impostata da Papa Francesco come una questione puramente religiosa: il Papa, nei suoi interventi, ha sempre parlato ai cinesi come un prete. E a questo riguardo va ricordasto che i cinesi adorano i figli e la questione del figlio unico resta un tema rilevante: gli antenati ed i figli costituiscono oggi la vera religiosità dei cinesi.
La Cina è un paese politicamente freddo e scettico ma possiede anche un forte afflato sentimentale.
Nel 2016 il Segretario di Stato Pietro Parolin tenne un discorso in memoria di Celso Costantini e, anche in tale occasione, fece di tutto per porsi più come prete che come politico e sottolineando l’aspetto diplomatico-politico della vita di Costantini che nel 1922 subì una svolta grazie al suo incontro con la Cina e con la Chiesa in quel Paese, dove fu nominato primo Delegato Apostolico.
Da allora in poi grande fu l’interesse, la partecipazione e l’impegno di Celso Costantini nei confronti della Chiesa in quella grande nazione e, più in generale, nei riguardi del popolo e della cultura cinesi. In particolare, Celso Costantini rifiutò di essere nominato cardinale e spinse per far nominare un vescovo cinese. La Chiesa romana, dal punto di vista politico, auspicava fortemente una chiesa cinese in Cina. Inoltre, Celso Costantini lottò per ottenere un riconoscimento della Santa Sede che fosse il più distante possibile dalla politica della Francia. E ciò perché nel 1856 il Vaticano era tornato ad essere presente in Cina al tempo della Guerra dell’Oppio portato proprio dalla Francia.
Alla questione che si sono sempre poste le autorità cinesi cioè: “Per chi si muove la Chiesa di Roma?” Parolin ha tentato di rispondere che la Santa Sede è assolutamente indipendente.
In una Conferenza del 2016 tenuta all’Università del Popolo (Ren Min University), l’Università fondata da Mao, si discusse di questioni religiose, il titolo della conferenza era: National Work Conference on Religions. Fu attribuita allora a Parolin la frase “Xi Jingping avrebbe accettato il ruolo del Papa nella nomina dei vescovi cinesi”. Neppure i gesuiti von Schall e Verbiest nel XVII secolo alla Corte Imperiale di Pechino erano riusciti ad ottenere che il Papa di Roma nominasse i propri vescovi.
C’è, comunque, attualmente uno spazio teorico di convergenza e per i politici cinesi la procedura è quella di fissare prima i principi e poi trarre le conseguenze. Il principio è che il Partito Comunista Cinese non si interessa di Dio ma delle cose terrene, mentre il Papa si interessa soltanto di Dio. Su tale base teorica sarebbe possibile intavolare future relazioni.
Il vicedirettore dell’Ufficio per la riforma del sistema economico del Consiglio di stato Pan Yue firmò già nel 2001 sui giornali Huaxia Shibao e Shenzen Special Zone Daily un articolo intitolato: “ Quale tipo di prospettiva dovremmo avere sulla religione: la visione marxista della religione si deve adeguare ai tempi” e sostenne, in buona sostanza che, benché Karl Marx fosse stato contrario alle religioni in quanto “oppio del popolo”, il partito di governo in Cina aveva bisogno per governare proprio di quell’oppio del popolo. E ciò perché la Cina è sempre stata la patria di ribellioni para-religiose. Già nel III secolo la Dinastia Han fu rovesciata da una ribellione para-taoista. La scoperta che la setta Falun Gong aveva una sorta di organizzazione clandestina all’interno del PCC e la sua scoperta mise in risalto un vero e proprio virus all’interno del potere. Nel luglio del 1999 va ricordata l’operazione che portò alla dura repressione nei confronti di Falun Gong.
Pan Yue sosteneva, quindi, che in Cina c’era bisogno di religione perché era stato sradicato sia il confucianesimo che il culto della personalità di Mao. E poi, secondo un rapporto del Partito, nelle zone in cui erano praticate fedi religiose c’erano meno attività di carattere criminale.
Attualmente la Santa Sede sta proseguendo nella sua rotta strategica verso relazioni amichevoli, non relazioni diplomatiche, si badi bene (le quali potrebbero compromettere le relazioni diplomatiche con Taiwan) e la televisione internazionale cinese ha dedicato un approfondimento informativo alla doppia mostra che avverrà in contemporanea nel marzo 2018 nei Musei vaticani e nella Città proibita di Pechino, parlando esplicitamente di “diplomazia dell’arte” nel quadro di un riavvicinamento tra Cina e Santa Sede. Sarà la “diplomazia dell’arte” equivalente alla diplomazia del “ping pong”, oggi che la presidenza di Donald Trump ha portato ad una sorta di avvelenamento dei rapporti sino-americani?
RECENTI SVILUPPI NELLE RELAZIONI SINO-VATICANE-Carlo Marino
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