Quanto è bello giocare: giocare per giocare, per puro divertimento, sospesi nel tempo, assaporando quella singolare tensione gioiosa che accompagna ogni sfida che ci consente di metterci alla prova sereni e spensierati, sollevati dall’ansia del raggiungimento di uno scopo perché in realtà non c’è un vero obiettivo da raggiungere se non quello fittizio che ci siamo arbitrariamente dati e perché il piacere del gioco è nel gioco stesso. Sì, giocare è bello: anche perché ci fa sperimentare uno spazio di libertà. Ma la libertà – come ha fatto osservare Luca Grion nella sua ricca conversazione “Le regole del gioco” tenuta venerdì scorso 10 febbraio nell’ambito delle conferenze UCIIM – la libertà per poter esistere non può prescindere dalle regole: contrariamente a quanto istintivamente si possa percepire, infatti, le regole tutt’altro che limitare la libertà, ne sono il presupposto. Persino per giocare, infatti, prima di tutto dobbiamo stabilire se non altro a che gioco vogliamo giocare e quali regole rispettare: niente regole, niente libertà, niente gioco. Tanti sono i tipi di gioco. L’agon che prevede competizione fisica, l’alea che si basa principalmente sulla fortuna, il teatro, ovvero il gioco di imitazione, l’acrobazia. Nel caso dello sport, che è un particolare sottoinsieme del gioco in cui sono presenti anche elementi di spettacolarità e di professionalità, il rispetto delle regole è assolutamente fondamentale, talmente fondamentale che vengono addirittura poste regole in più per porre tutti i concorrenti in una situazione di uguaglianza di opportunità di successo: una competizione a forze squilibrate perderebbe di interesse. Altre regole vengono poste per definire accuratamente l’abilità da mettere alla prova e viene addirittura sentita necessaria la presenza di un terzo, l’arbitro, a garanzia del rispetto delle regole. Lo sport in un certo senso è “un gioco che si fa adulto”, intendendo per adulto la persona che, superata la fase della “liberazione da”, non si ferma a nutrirsi del mito dell’autonomia ed autoreferenzialità che fa vivere in una dimensione di libertà solo virtuale, ma sa determinarsi per costruire con libere scelte il suo futuro. Come nella vita, così nello sport. Non si può eccellere in tutto: bisogna saper operare delle scelte per vivere questa nostra libertà che non è pura autonomia o arbitrio illimitato ma presa di coscienza dei propri limiti, capacità di stabilire degli obiettivi ed impegnarsi a restarvi fedele: questa è libertà. Ma ciò richiede impegno, fatica, perseveranza, sacrificio… tutti ingredienti dello sport e della vita. Perché lo sport è una metafora della vita: se ben vissuto e cioè se liberato da tanta retorica buonista, se emancipato non dall’agonismo che è suo ingrediente imprescindibile, ma dalla sua deformazione che punta ossessivamente solo al risultato, se accompagnato dalla presenza di allenatori che siano anche educatori, lo sport sprigiona un enorme potenziale educativo: insegna ad apprezzare la fatica, ad attendere, ad impegnarsi; a saper perdere senza sentirsi perdenti, a sapersi rialzare dopo una sconfitta; a saper vincere senza stravincere e diventare supponenti; a relazionarsi e fare squadra, a comprendere il valore della regola. Lo sport, inoltre, più di ogni altro campo educativo, è di immediato coinvolgimento, esprimendosi non a parole, ma nella pratica vissuta. Attenzione però, ha voluto sottolineare Grion, “i bambini imparano più con gli occhi che con le orecchie”: se vogliamo fare di loro persone rispettose delle regole, leali, libere, dobbiamo innanzi tutto assumere noi uno stile non solo di gioco ma soprattutto di vita corretto e leale perché, come scriveva Roger Caillois la “corruzione dell’ agon (ma anche della vita) inizia là dove non vengono riconosciuti più né arbitri né arbitraggi”. (Marina Del Fabbro)
Trieste: L’UCIIM analizza “Le regole del gioco”
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