Più di una testimonianza: è stata una vera e propria lezione di vita, un’iniezione di coraggio, fiducia e determinazione la conversazione “La forza della vita” che Gianna Jessen ha tenuto sabato scorso, 25 novembre, qui a Trieste davanti ad una foltissima platea composta in gran parte da ragazzi e giovani coppie intervenute anche con i loro bambini. Gianna è una persona che non dovrebbe esistere, essendo l’indesiderato risultato di un aborto salino fallito. Nata il 6 aprile del 1977 a 29 settimane e mezzo, 900 grammi di peso, dopo 18 ore di aborto, e scampata alla morte post nascita solo perché in quel momento il medico abortista era assente, è oggi una donna vitale, gioiosa, desiderosa di gustare la sua esistenza minuto per minuto, aperta alle sfide e agli incontri, e senza un briciolo di rancore nei confronti di nessuno, nemmeno della madre e del padre biologici che continuano a rifiutare lei ed anche il suo perdono che, da cristiana, ha già cercato di offrire loro, ricevendone però in cambio un ulteriore rabbioso rifiuto. “La mia vita non è affatto un film, ma dura, molto dura, ma non accuso nessuno ed anche se qui in sala ci sono persone che hanno abortito o sono state coinvolte in aborti, non si si sentano giudicate, anzi: hanno dato una grande prova di coraggio a venire qui questa sera, e sarò contenta di conoscerli” Le conseguenze del suo aborto sono state e sono pesanti: ha subito una paralisi cerebrale, ha dovuto imparare a camminare due volte, una a tre anni ed una ad dieci, dopo un’ operazione al midollo spinale che ha richiesto un anno e mezzo di recupero, e tuttora zoppica, ha problemi neurologici e di equilibrio, è molto cagionevole, ma ciò non le ha impedito di cimentarsi per ben due volte in una maratona di 26 chilometri e conta anche di scalare montagne: perché non c’è nulla di impossibile per chi, come lei, è nata da un aborto e che già da neonata, per i pesanti handicap contratti, era già stata definita come una minorata che mai sarebbe stata capace di far nulla. E invece no, nulla è impossibile, per nessuno: ci vuole solo molta, molta determinazione e fede. Per questo non riesce a comprendere l’arroganza di chi, a priori, decide di sopprimere un bambino che si presenta disabile nella presunzione che sarebbe condannato ad una vita di infelicità o comunque spregevole. Che dire allora di lei, che è disabile proprio perché abortita? E’ spregevole lei, è infelice la sua vita? Assolutamente no, anzi: lei, per la sua vita ha progetti straordinari, la sua esistenza è piena; se mai vede infelici e tristi tanti normodotati, al punto da giungere quasi a concludere che l’handicap, rendendo tutto più difficile, fa godere di più la vita, la rende sì complicata ma anche straordinariamente interessante. E poi l’handicap, in un certo senso, protegge da incontri falsi e da persone superficiali. E, per concludere l’intenza testimonianza, due inviti: ai giovani, specialmente ragazze, a non sprecarsi in rapporti occasionali, ma coltivare con delicatezza l’attesa dell’incontro giusto. E agli uomini, a non accettare più lo stereotipo del conflitto tra il maschio predatore e la femmina vittima. Non si lascino manipolare dalla donna, non siano passivi, si ribellino al basso standard a loro richiesto e riconquistino la loro dignità di “uomini d’onore”, uomini grandi, di parola, fedeli, onesti, figure di riferimento per la donna e specialmente per le figlie: se oggi ci sono tante donne arrabbiate con il mondo maschile ciò è dovuto anche per una sorta di vendetta: riversano sugli altri uomini la rabbia che covano contro un padre mancato. (Marina Del Fabbro)
Trieste: L’Uciim e Gianna Jessen in “La forza della vita”
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