“Dominio”: che concetti normalmente associamo a questo vocabolo? Come interpretiamo il “dominio” che Dio stesso assegna all’uomo sul creato nel primo libro della Genesi? E’ questo l’interrogativo con cui Giovanni Grandi ha aperto la sua conversazione “Il dominio e la conversione ecologica” con cui è iniziato il corso di aggiornamento proposto da UCIIM per quest’anno 2015/16. E’ stata anche l’occasione per offrire una chiave di lettura della “Laudato si” di papa Francesco. Enciclica che, accolta subito con molto entusiasmo anche perché superficialmente intesa come “green”, ha invece tutt’altro spessore antropologico. Ma perché partire proprio dal “dominio”? Perché è dall’interpretazione che diamo a questo termine che si gioca il rapporto che l’uomo ha non solo con la natura, ma anche con se stesso e con il prossimo. “Dominio”, allora: necessariamente “controllo, padronanza, violenza, tirannia, sfruttamento”, come verrebbe comunemente da pensare o forse anche altro? A partire da alcuni passi della Summa Theologiae di Tommaso, decodificando poi con finezza alcuni dettagli della “Cacciata dal paradiso terrestre” di Masolino e Masaccio della cappella Brancacci e naturalmente con una accurata rilettura del primo racconto della Creazione, Grandi ha guidato i presenti a cogliere l’originale significato di “dominio” ovvero di “potestas”. Creato a immagine e somiglianza di Dio e cioè dotato di dotato di libero arbitrio, di capacità di scelta e padrone di ciò che fa, l’uomo è chiamato a imitare l’agire potestativum e creatore di Dio stesso ovvero a porsi creativamente nel mondo e successivamente a riconoscere la sua azione (suorum operum potestatem). Così infatti opera Dio che crea (E Dio disse…) e successivamente riconosce il suo operato come positivo (e vide che era cosa buona.) Questo l’autentico “dominio”: essere al contempo madre (dare inizio, dare vita) e padre (riconoscere, sperabilmente come positivo) il proprio operato senza “scartare” (disconoscere) nulla. Ogni disconoscimento infatti crea frattura. Il peccato originale in fondo non è che questo: la prima frattura, la prima azione responsabilmente compiuta ma non “riconosciuta” come buona: la scena della cappella Brancacci la rappresenta eloquentemente: nella perdita di equilibrio e nell’introduzione del sospetto (i due non sono più alla stessa altezza e non si guardano più), nel disconoscimento della realtà (occhi chiusi del volto del serpente che riprende quello di Eva), nella vergogna. La “conversione ecologica” cui siamo chiamati sta esattamente nell’opposto: introdurre delle novità creative e prenderci carico (riconoscere) il nostro agire. Ma poiché, inevitabilmente, avremo compiuto anche qualcosa di negativo, sarà necessario rileggere onestamente le nostre azioni, interrogare anche il male compiuto, e cercare di ricomporre le fratture mettendoci in un attento ascolto di noi, del contesto e dei nostri sentimenti, principalmente della gioia e la tristezza, eloquenti sintomi della bontà o meno del nostro agito. In sintesi: dal “dominio” inteso come sopraffazione e spadroneggiamento alla “potestas” intesa come creatività positiva e presa in carico attraverso una “conversione ecologica” ovvero ricomposizione delle fratture e superamento della cultura dello scarto: questa la chiave di lettura proposta da Grandi. Percorso esigente ma affascinante: un cammino che ci porti ad essere non più solo “immagine” di Dio ma anche a Lui “somiglianti”. (Marina Del Fabbro)
Trieste: L’UCIIM e il “dominio” e la “conversione ecologica”
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