Trieste (Friuli-Venezia Giulia) 23 marzo 2018

Trieste: L’Uciim e il paradosso dell’adolescente

IL PARADOSSO DELL’ADOLESCENTE: bisogno di indipendenza e assoggettamento alle sostanze.

Parafrasando Tolstoj, potremmo affermare che “tutte le adolescenze vissute bene si somigliano; quelle difficili sono critiche ciascuna a modo suo”. Ai nostri giorni però sembra che il complesso passaggio dal “soggetto-bambino” all’ “individuo sociale sessuato”, e cioè la fase dell’adolescenza, presenti non solo per alcuni ma per tutti particolari difficoltà al punto da portare i ragazzi ad una sorta di “paradosso dell’adolescente: bisogno di indipendenza e assoggettamento alle sostanze”, tema su cui venerdì scorso, 23 marzo, Luisa Fantasia e Giovanna Onofrio hanno tenuto una densa conversazione su invito di UCIIM-Trieste. Due in particolare – hanno detto le relatrici – sono da sempre i bisogni dell’adolescente: quello del conflitto tramite il quale potersi ricreare e costruire una propria autonomia, e il bisogno di condividere esperienze di vita con il gruppo dei pari. Nessuna di queste due esigenze, però, oggigiorno viene facilmente appagata: la prima perché richiede una controparte forte, che sappia reggere il conflitto, ed oggi l’adulto non lo è più per cui cerca di evitarlo spostando sempre più in là il confine del lecito. E così finisce così che molti adolescenti superano abbondantemente i confini di quanto loro consentito e finanche quelli della legalità senza neppure rendersene conto e senza maturare nemmeno alcun senso di colpa. Tristemente troveranno il primo limite nelle forze dell’ordine. Anche la seconda esigenza, quella della vita di gruppo, oggi è latitante in quanto sostituita con la realtà digitale che depriva il giovane dall’esperienza della relazione fisica e da legami più stabili di quelli di un contatto virtuale. E non è una deprivazione di poco conto, perché una appartenenza vissuta anche fisicamente è proprio quello di cui l’adolescente ha bisogno nel momento del distacco dalla famiglia per non farsi sopraffare dal senso di angoscia e di vuoto. Il vuoto: ecco uno dei principali responsabili di tante adolescenze difficili. Perché è per riempire questo angosciante vuoto che i ragazzi ricorrono all’assunzione di sostanze (e oggi il mercato ne offre un’infinità, ed anche a basso prezzo e di facilissima reperibilità) o a pratiche autolesionistiche come il cutting nel tentativo di sedare, con la reazione anestetico-difensiva del corpo al dolore fisico, anche quello esistenziale. Ma tra le dipendenze dei giovani non mancano altre non meno schiavizzanti quali i giochi d’azzardo online, i disturbi alimentari, lo shopping compulsivo. Il tema del vuoto è davvero centrale, hanno ribadito le relatrici, ed è la diretta conseguenza dell’incapacità del mondo adulto di fissare limiti chiari: perché il limite genera impulsi positivi come il desiderio o senso di mancanza, entrambi dinamici, mentre il vuoto no: genera solo sofferenza e bisogno di riempimento che sarà purtroppo inevitabile cercare di soffocare con falsificanti gratificazioni oggettuali o patologici legami di dipendenza, specialmente in quei passaggi della vita – e l’adolescenza lo è per eccellenza – in cui manca un solido senso di appartenenza. Fin qui l’adolescente, ma che ruolo è chiamato coprire l’adulto in questo contesto? Fondamentale, hanno ribadito con decisione Luisa Onofrio e Giovanna Fantasia: innanzi tutto, affrancandosi dalla tiranna dell’indice di gradimento e dei “like”, l’adulto deve ripristinare il limite e con esso risvegliare la possibilità di conflitto e soprattutto il desiderio. E poi ricostruire la consapevolezza della priorità della legge e con essa la asimmetria dei ruoli; e sta sempre all’adulto bilanciare bene libertà e potere, ma anche far spazio ai giovani con un sano senso dell’avvicendamento e capacità di cedere il passo (e lo scettro). E ancora, fondamentale anche questo, dopo un serio confronto ed una arricchente contaminazione tra le professioni, rendere significativa la conoscenza e riportare ad una unità di senso la frammentarietà dell’esperienza. (Marina Del Fabbro)