Trieste (Friuli-Venezia Giulia) 12 maggio 2017

Trieste:L’uciim e le Regole e l’attenzione alla persona

Esiste a Trieste, già dagli inizi degli anni ’70, una comunità di generosi volontari, la Comunità di San Martino al Campo, raccoltasi attorno ad un giovane sacerdote, don Mario Vatta, animato dal desidero di mettersi a servizio delle persone più fragili. E la fascia del disagio e della fragilità, anche nella nostra tutto sommato benestante città, è ben ampia: non si tratta solo della dura realtà della strada, del carcere, della sofferenza psichica, della povertà materiale e non, ma anche della dipendenza di ogni tipo, della disabilità, dell’abbandono.
Sono tutti ambiti dolorosi in cui le persone finiscono anche a causa di un cattivo rapporto con le “regole”: regole che hanno infranto, o che non conoscevano, o che non sono state in grado di rispettare o che non hanno compreso. O che, ed è spesso il caso della malattia mentale, per il loro rigore e complicatezza, li hanno fatti scoppiare. Ma ora, proprio a causa di questo essere “fuori regola”, queste persone non riescono più a reinserirsi in un contesto relazionale. Finiscono così per vivere nella marginalità, assolutamente sregolati come i senzatetto che hanno perso persino il ritmo del sonno e della veglia o vengono sottoposti ad altre e ben più violente regole, quale quella crudele e mercificante della strada o le tantissime regole scritte e soprattutto non scritte del carcere, regole imposte con impercettibili gesti e con sottointesi, tutte volte alla strumentalizzazione e sopraffazione. O ancora finiscono incastrati nelle regole distruttive, dannose, tiranniche e schiavizzanti del gioco, dell’alcool, della droga. Di tutta questa importante realtà umana e del suo difficile rapporto con le regole ha parlato, venerdì scorso, 12 maggio, con la profonda conoscenza acquistata per esperienza diretta in tanti anni di volontariato e lavoro, Miriam Kornfeind nella sua conversazione “Regole e attenzione alla persona” tenuta su invito della sezione triestina di UCIIM.
Attenzione, quando si parla di regole, ha ricordato la relatrice, a non confonderle con i valori: le regole attengono ai comportamenti, sono e restano un mezzo, mentre i valori attengono all’essere. Il fine, in ogni caso, resta quello della crescita personale, dell’inclusione sociale e del raggiungimento dell’autonomia che poi altro non è che il sapersi dare (buone) regole di comportamento da soli. Delle regole (e relative sanzioni) comunque, e nel disagio ancora di più, c’è assoluto bisogno: danno un ritmo, tranquillizzano, segnano un limite, mettono un argine alla confusione. Devono però essere poche, vanno proposte con un ritmo che consenta di interiorizzarle, non devono essere in conflitto e soprattutto devono assolutamente essere sempre buone regole: la forza della regola nasce dalla convinzione della sua bontà e dalla sua osservanza anche da parte di chi l’ha richiesta. Esempio e coerenza restano i maestri più convincenti. Certamente: specialmente nei casi di difficili quali giovani oppositivi e ribelli o adulti incattiviti e rabbiosi non ci si può aspettare una pacifica accettazione delle regole, nemmeno delle più basilari. Tanto per citare un esempio: nel dormitorio della Comunità è accolto assolutamente chiunque, in qualunque condizione si trovi, basta che non porti con sé armi, alcool o droghe e che, all’interno, non commetta violenze. Ebbene, anche queste tre regole tre per tanti sono troppo: non le capiscono, non le accettano: e allora bisogna continuamente spiegarle, motivarle, e rimotivarle. In molti casi è necessario anche un costante lavoro di negoziazione, riproposizione, adattamento anche al fine di stabilire un patto condiviso. E bisogna anche saper accettare la sfida del conflitto ovvero di quella situazione in cui le regole sembrano saltare: e invece no, anche il conflitto ha le sue regole: ascolto, mediazione, elaborazione, superamento. Anche il conflitto può diventare una palestra di rispetto delle regole.
Spesso poi le regole possono essere solo un secondo passo. Prima di tutto è indispensabile recuperare la relazione affettiva specialmente con i giovani. Incoraggiante, a questo proposito, l’esperienza della SMAC “Non uno di meno”, scuola organizzata dalla Comunità che raccoglie i minori pluribocciati in situazione di abbandono scolastico. Negli anni è riuscita, grazie ad un paziente lavoro di recupero affettivo e poi anche educativo, a riportare parecchi ragazzi sui banchi per affrontare (e superare) l’anno scolastico.
In tutto questo lavoro non dimentichiamo, ha voluto sottolineare Miriam Kornfeind, la grande risorsa della comunità; riconosciamo anche che l’ambito della fragilità, se da un lato ha tanto bisogno di aiuto, dall’altro può anche dare molto: educhiamoci ad ascoltare non solo con le orecchie, ma soprattutto con il cuore; ad accogliere senza giudicare e a sospendere il giudizio per percorrere un tratto di strada insieme a chi è rimasto indietro, mettendoci in gioco anche noi. Ne usciremo tutti arricchiti. (Marina Del Fabbro)