Cosenza (Calabria) 23 marzo 2016

Cariati:Il CIF e il Comprensivo contro la violenza di genere

Video recita************************Servizio di Ignazio Russo
********************************************************************************
“Rompiamo le catene del pregiudizio e dell’ignoranza: insieme si può”. Il Teatro comunale di Cariati ha ospitato ieri mattina la manifestazione Break The Chain, contro la violenza di genere. L’evento è stato fortemente voluto dal CIF (Centro Italiano femminile) di Cariati, in collaborazione con l’Istituto Comprensivo, il Comune di Cariati, i Carabinieri di Rossano e Cariati con la presenza del Comandante Nicodemo Leone, l’Arcidiocesi Rossano-Cariati rappresentata da Don Mosè e la scuola di ballo Lory Dance. E’ stato un importante momento di sensibilizzazione verso le violenze nascoste o palesi, che ogni giorno sono perpetrate nei confronti delle donne. Coordinata dall’Avv. Assunta Trento la manifestazione è stata introdotta dalla presidente del CIF, Maria Rosaria Galati e dalla dirigente del Comprensivo, Maria Brunetti, la quale si è fatta portavoce dei saluti e dell’intervento del dirigente dell’ATP di Cosenza Luciano Greco, impossibilitato a presenziare a causa di sopraggiunti impegni istituzionali, che riportiamo integralmente: “Con vivo rammarico impegni istituzionali mi impediscono di partecipare a questo interessante momento, ma mi sia consentito partecipare un sentimento di sincero ringraziamento agli organizzatori di questo evento e a tutti coloro che oggi prendono parte ad un’assise su un tema, quello della violenza di genere, di enorme impatto sociale e di crescente intensità emotiva. Sono questi i motivi che devono stimolarci a coinvolgere le giovani generazioni in riflessioni e pensieri che maturano in un confronto aperto e franco nel quale deve più che mai deve affermarsi una rinnovata consapevolezza. Ogni condotta che mira ad annientare la donna nella sua identità e libertà – non soltanto fisicamente, ma anche nella sua dimensione psicologica, sociale e lavorativa – è una violenza di genere. Le cose vanno chiamate con il loro nome. La violenza di genere non è legata soltanto ad omicidi a le lesioni gravi da parte di partner o ex partner. Ci sono donne che subiscono quotidianamente maltrattamenti, violenze sessuali e psicologiche, minacce e molestie. Donne alle quali viene negato l’accesso all’istruzione o al mondo del lavoro e che, essendo in condizioni di dipendenza economica, non riescono ad allontanarsi da un contesto relazionale di rischio. Donne che, anche dopo aver trovato la forza di uscire da situazioni di questo tipo, non incontrano il sostegno sociale e istituzionale necessario per ricostruire la propria vita. Molte delle vittime di omicidio o lesioni gravi avevano già denunciato episodi di violenza o di maltrattamento. Altre, invece, non avevano mai chiesto aiuto, per sfiducia nelle istituzioni, per mancanza di mezzi o per una pericolosa sottovalutazione delle violenze subite. È di qualche mese fa l’inaugurazione a pochi chilometri da Cariati di una palestra ubicata in un istituto scolastico superiore, intitolata a Fabiana Luzzi, la sfortunata studentessa non ancora sedicenne poco tempo addietro bruciata viva da un suo quasi-coetaneo a Corigliano Calabro. Trovarsi a parlare coi suoi genitori è stato aver di fronte e sentire lo strazio più grande che a un essere umano possa essere dato di vivere. Cosa si può rispondere alla domanda: «come si può portare una figlia in una borsa»? I dati sul femminicidio non hanno bisogno di commenti: il rapporto Eures dice che tra il 2000 e il 2011 i femminicidi in Italia sono stati 2061, su un totale di 7440 omicidi. E di questi 2061, ben 1459 sono stati quelli maturati in ambito familiare. Un’emergenza, se con questa parola si intende un fenomeno gravissimo; ma non se si intende qualcosa di inaspettato, imprevedibile, perché gran parte delle donne uccise aveva già fatto una denuncia. Donne uccise in quanto donne, perché la loro autonomia è stata ritenuta insopportabile da mariti, compagni, fidanzati, ex-fidanzati. La cultura e le istituzioni: questi i due piani di azione sui quali dobbiamo muoverci. Nessuna nuova norma ha senso se non cammina insieme ad un profondo cambiamento del nostro modo di pensare, parlare, guardare. Il rispetto della donna è un fatto che passa anche dall’uso della lingua e dell’immagine. Ogni volta che si deve offendere una donna è immancabile il riferimento ai presunti comportamenti sessuali della stessa. Qualunque sia il ceto sociale di appartenenza, qualunque sia il grado di istruzione, qualunque sia la natura della discussione, l’uomo (anche giovane, purtroppo) di norma non ribatte sullo stesso terreno, ma sposta il piano su quello dell’offesa sessuale. Lo afferma la Corte di cassazione in una recente sentenza. «Porre le donne in condizione di marginalità e minorità» dice la sentenza «è uno degli effetti che ha ottenuto e ottiene parte della comunicazione». Un oggetto – non un soggetto – al pari dei prodotti di cui promuove la vendita. È una nostra negativa anomalia, questa deformazione pubblicitaria della donna. In giro per l’Europa non è abituale usare donne seminude per vendere yogurt, televisori, valige. Così come sarebbe difficile vedere in onda uno spot in cui papà e bambini stanno seduti a tavola, mentre la mamma in piedi serve tutti. La soluzione non si troverà finché saranno solo le donne a discuterne; finché non si comprenderà che il problema della sottorappresentazione e della rappresentazione offensiva della donna ha una dimensione maschile, di educazione al rispetto, che riguarda in primo luogo gli uomini. Questa rappresentazione regressiva della donna è un ostacolo alla complessiva maturazione della società, specialmente nella sua componente maschile, a sua volta prigioniera di immagini e modelli del tutto irrealistici. Come uscirne, come concorrere a produrre una nuova cultura? Attraverso il dialogo e la riflessione di cui la giornata di oggi è cristallina testimonianza. Educare non è compito della pubblicità. Devono farlo le famiglie, la scuola, le istituzioni”. Si è entrati subito sull’argomento con l’originale idea di inscenare la commedia di Aristofane, “Donne in parlamento”, orchestrata dalle docenti Carmela Fazio e Le Voci. Lo spettacolo è stato arricchito da video esplicativi e spesso toccanti, così come emozionante è stato il flashmob finale realizzato dagli alunni del Comprensivo e dalle due istruttrici di ballo della scuola Lory dance. A corredo della giornata, hanno fatto bella mostra i lavori artistici realizzati dagli alunni del Comprensivo e dalle docenti Concetta Russo e Anna Chirumbolo. Anche i genitori hanno partecipato e contribuito alla riuscita dell’evento, che, come da tradizione, ha visto uniti scuola, famiglie, enti, istituzioni e associazioni, confermando ancora una volta lo spirito di collaborazione che caratterizza la comunità cariatese nei confronti della scuola. In chiusura Francesca Gallello ha fornito il proprio contributo di scrittrice, presentando alcuni brani dal libro “Donna Rosa”. Erano pure presenti anche gli studenti della classe quinta dell’indirizzo chimico dell’IPSIA di Cariati, autori di un cortometraggio a tema, realizzato sotto la guida della loro docente Raffaella Affabile.