Bari (Puglia) 17 luglio 2015

SPEZIALE LIBERO Sedici Gradoni Ultras Teramo

SPEZIALE LIBERO
Quante volte, nel corso degli anni, questa espressione ha scatenato lo scandalo e lo sdegno della “società civile” nel nostro paese.
Il caso più eclatante è quello di Pietro Arcidiacono, calciatore. Il 17 novembre del 2012 è impegnato con la sua squadra, il Cosenza, che milita in serie D, nella partita contro il Sambiase. Quando Arcidiacono segna, nell’esultanza, mostra una maglia, su cui c’è scritto “Speziale innocente”. Il ragazzo, nonostante si assuma totalmente la responsabilità del gesto, giustificandolo come un atto di vicinanza ad un amico, nato nel suo stesso quartiere a Catania, rimedia un Daspo di tre anni. Caso forse unico nel mondo del calcio: tanto vale l’espressione di un pensiero, molto di più di tante scorrettezze che nei campi si vedono ogni giorno e che in altri luoghi varrebbero anche più di un Daspo. Arcidiacono messo alla gogna mediatica da giornalisti, sindacati di polizia e istituzioni varie, riceve la solidarietà delle curve.
A Lecce viene esposto lo striscione “Speziale innocente, adesso diffidateci tutti”, e l’invito viene subito raccolto da chi di dovere. Le conseguenze non si fanno attendere: viene diffidato un ragazzo di 22 anni.
Ultima in ordine di tempo è la famosa maglietta indossata da un esponente della Curva A di Napoli, ritenuta dai media e dall’opinione pubblica una “aggravante mediatica” degli incidenti avvenuti a Roma prima della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina.
Ma perché in uno Stato, che costituzionalmente garantisce la libertà di espressione, si è penalmente perseguibili se viene chiesta la libertà per un ragazzo?
La stessa non dovrebbe essere garantita, indipendentemente dal grado di giudizio nel quale il soggetto che riceve tali attestati si trova?
Ma chi è Antonino Speziale?
Cosa ha fatto?
E’ perché noi ci uniamo a quel coro che ne chiede la libertà?

2 FEBBRAIO 2007
Il 2 febbraio 2007 a Catania si gioca il derby di Sicilia, tra la squadra locale e il Palermo. Previsto inizialmente per il 4 febbraio, in seguito ad una lettera del sindaco di Catania al ministero dell’Interno si è deciso di rimandarlo per la concomitanza con la festa di Sant’Agata. In molti auspicano ad un rinvio alla fine del mese, ma l’incontro viene anticipato per il giorno 2, con inizio alle 18.30. In avvio di partita partono i fuochi d’artificio predisposti in onore della contemporanea festa di sant’Agata, patrona di Catania.
I tifosi ospiti arrivano dieci minuti dopo l’inizio del secondo tempo per problemi organizzativi.
Fuori dallo stadio si verificano i primi scontri, con alcuni tifosi locali che tentano di entrare in contatto con la tifoseria ospite. A questo punto inizia uno scambio di lanci di petardi e fumogeni. La polizia tenta di disperdere i tifosi e vengono usati dalle forze dell’ordine, in due riprese, all’interno della curva nord, dei lacrimogeni, che generano il panico sugli spalti, dove migliaia di tifosi stanno assistendo all’incontro, ignari degli scontri che avvengono all’esterno. Una moltitudine di persone tenta quindi la fuga ma trova gli ingressi dello stadio sbarrati. Si crea una calca pericolosissima che provoca diffuse scene di isteria collettiva. La partita viene quindi sospesa per quaranta minuti dall’arbitro Stefano Farina per l’aria irrespirabile. Durante la fuga, molti tifosi di casa cercano di entrare in contatto con gli avversari: cominciano gli scontri veri e propri. Intanto la partita termina (vince il Palermo per 2 a 0) e, all’esterno dello stadio, decine di persone dal volto coperto attaccano le forze dell’ordine. Le immagini vengono trasmesse in diretta da Sky.
Si parla di uno schieramento imponente: 1.200 agenti. Alla fine, si contano 71 feriti tra le forze dell’ordine, più altrettanti civili. Vengono fermati la sera stessa una ventina di ultras. Di questi, nove vengono arrestati e quattro sono minorenni.
Contemporaneamente, si viene a sapere che l’ispettore capo del X Reparto Mobile di Catania, Filippo Raciti, è stato ucciso. In un primo momento la voce che circola è considerata falsa ma, successivamente, arriva la conferma intorno alle 22.
La causa della morte è da ricercare in un grave trauma interno del fegato. Vani sono i soccorsi ed il ricovero immediato all’Ospedale “Garibaldi”: l’uomo spira dopo tre quarti d’ora di agonia, per arresto cardiaco. Insieme a lui viene ricoverato un altro poliziotto, in gravi condizioni, ma non in pericolo di vita.

IL DECRETO AMATO
In seguito a questo evento, come sempre succede in Italia, quando accadono disgrazie di questa portata, l’unica soluzione urlata ai quattro venti, nei salotti televisivi, portata avanti da schiere di giustizialisti in un perbenismo dilagante e raccolta nelle stanze dei poteri legiferanti in materia di sicurezza negli stadi, risponde solo ed esclusivamente ad una ulteriore e sempre più asfissiante repressione nei confronti del mondo delle curve e del tifo organizzato.
Tutte le leggi speciali, infatti, che negli anni si sono succedute, non hanno risolto il problema della violenza, ma sembrano, più che altro, volte ad ostacolare la libertà d’espressione e di movimento del tifo da stadio. L’inasprimento di pene già spropositate, se rapportate al contesto in cui sono applicate ed in base ai reati commessi, come l’arresto in flagranza differita e l’uso spropositato di strumenti come il daspo, da molti considerato incostituzionale, a cui si aggiungono il biglietto nominale , il divieto d’acquisto nella città ospitante del tagliando in trasferta, costituiscono le ultime trovate partorite dal decreto Pisanu, precedente ai fatti narrati. E’ questa dunque la situazione contingente in cui si svolge la vicenda. Il tutto, ovviamente, non accade a caso, ma favorisce il crescente business del calcio che, ormai, affonda le sue fondamenta nello spettatore televisivo e sempre meno nel tifoso da stadio, con lo scopo di trasformare definitivamente quest’ultimo in un vero e proprio cliente. Quello che esce fuori, nell’immediatezza di quei giorni, dopo i fatti di Catania, è qualcosa di ancora più spaventoso, se possibile, giuridicamente parlando: il cosiddetto Decreto Amato. Nonostante ipocrite rassicurazioni sul presunto cambiamento del modo di affrontare il problema da parte dello stato e la volontà di ricercare una soluzione definitiva al problema della violenza negli stadi, il decreto, di fatto, pone il veto finale su striscioni, bandiere, tamburi, megafoni e qualsiasi altro strumento di tifo e coreografico.
Tutto ciò che, fino a quel momento, ha rappresentato il pane quotidiano di ogni tifoso, ultras e gruppo organizzato, è adesso al vaglio delle autorità di pubblica sicurezza, alle quali bisogna chiedere il permesso per esporre un simbolo, introdurre uno striscione o una bandiera, rinunciare, quindi, al proprio modo di essere e di concepire il calcio, di vivere la partita di pallone, come si è sempre fatto, di generazione in generazione. Questa pratica di controllo totalizzante da parte delle istituzioni, smentisce, di fatto, il fine ultimo del decreto di legge stesso che, da un lato si propone di debellare il fenomeno della violenza, mentre in realtà, nega ad una determinata categoria di cittadini il diritto di esprimersi, usando quelli che da sempre sono i propri strumenti, senza che tra le due cose ci sia una benchè minima relazione. Chi legifera in tal senso dovrebbe infatti spiegare quale nesso ci sia nel vietare l’uso di un tamburo, di un megafono o l’esposizione di uno striscione che non ha contenuti che possano istigare alla violenza o creare turbative dell’ordine pubblico, con la prevenzione di eventuali disordini all’interno o nelle vicinanze di un impianto sportivo. Lo stesso decreto prevede, inoltre, l’introduzione della tessera del tifoso, che altro non è se non una ulteriore schedatura di massa per chiunque voglia mettere piede in uno stadio. Verrà ripresa ed introdotta in modo definitivo qualche anno più tardi, da un altro ministro, particolarmente attivo nel proporre ulteriori misure restrittive, in una sua particolarissima crociata anti-ultras: Roberto Maroni.
Un decreto, insomma, che uccide libertà costituzionalmente garantite, quali quella di espressione e di libera circolazione sul territorio nazionale.
Tutto questo cosa c’entra con la violenza?

DECRETO AMATO: IN NOME DEL “DIO DENARO” OGNI DIRITTO COSTITUZIONALE HA SACRIFICATO!
Si fa largo l’idea che durante quel 2 febbraio, ma soprattutto nei giorni successivi, un accadimento tragico sia realmente servito a qualcuno. Si è volutamente scelto di cavalcare l’onda emotiva, sulla morte di un uomo, per il tornaconto di chi, da sempre, del calcio vuole fare solo ed esclusivamente una macchina da soldi. L’occasione che si presentava era troppo ghiotta, per dare una spallata definitiva a quelle voci fuori dal coro ed eliminare gli ultimi rimasti a puntare il dito contro il marcio nella gestione del mondo del calcio (gli ultras e le curve) e spianare finalmente la strada, per trasformare quella larga massa di appassionati in clienti consumatori.
Distruggere l’aggregazione che il tifo da stadio produce: questo è l’unico obbiettivo che si evince chiaramente dal Decreto Amato. Il resto, la violenza, sembrano solo chiacchiere da dare in pasto al popolino assopito, seduto a cena davanti al TG.

CHI HA UCCISO L’ISPETTORE RACITI?
Gli investigatori analizzano da subito le immagini e le stesse restituiscono i gesti di un ragazzone grande e grosso che con altri cinque o sei ultras afferra e poi scaglia verso gli agenti un pezzo di lamiera. Lo stesso pezzo, secondo le ricostruzioni degli investigatori, verrebbe usato contro il plotone di divise blu a mò di ariete. Ma questo le immagini non lo mostrano. E’ in quegli attimi, compresi tra le 19,04 e le 19,09 che, secondo la Procura dei minori e la Squadra mobile di Catania, Raciti riceve il colpo mortale che gli recide una vena del fegato. Ed è qui, sul filo dei minuti e dei fotogrammi, che rischia di sommarsi il dramma di un ultrà minorenne, Antonino Speziale, all’epoca diciassettenne.
Interrogato l’8 febbraio, l’indagato si riconosce nei fotogrammi, ammette di aver scagliato il pezzo di lamiera e anche di averlo “spinto una volta” contro gli agenti, ma sostiene di non aver colpito nessuno. Per gli investigatori l’assenza d’immagini determinanti “è un dettaglio marginale”, perché sostengono, “è rigorosamente logico che ci sia l’impatto” tra il giovane e l’ispettore. L’ordine di arresto per omicidio viene emesso il 27 febbraio 2007 dal Gip Alessandra Chierego del Tribunale pei i minori di Catania.
La ricostruzione di tutta la vicenda processuale, e le distorte ricostruzioni con le quali si è arrivati a processare Speziale, nell’arringa, dell’avvocato della difesa, Lipera, tenuta nella Corte d’appello di Catania il 18 dicembre del 2011. Il procedimento penale scaturito dall’uccisione dell’ispettore Raciti ha visto le seguenti sentenze:
• il 9 febbraio 2010 il Tribunale dei Minori di Catania ha irrogato la pena di 14 anni di reclusione per omicidio preterintenzionale ad Antonino Speziale, minorenne all’epoca dei fatti;
• il 22 marzo 2010 la Corte di Assise di Catania ha irrogato la pena di 11 anni (dieci anni per omicidio preterintenzionale, più un anno per resistenza a pubblico ufficiale) a Daniele Natale Micale, ventitreenne, il quale avrebbe partecipato in concorso con lo Speziale all’omicidio di Raciti.
• il 21 ottobre 2011 la Corte d’Assise d’Appello di Catania ha confermato la condanna a 11 anni di reclusione per Daniele Micale per omicidio preterintenzionale.
• il 21 dicembre 2011 la Corte d’Appello per i minorenni di Catania ha condannato Antonino Speziale a 8 anni di carcere per omicidio preterintenzionale.
• il 14 novembre 2012 la Corte di Cassazione ha confermato le sentenze di appello disposte nei confronti di Speziale e di Micale. Nei confronti di Micale il verdetto dei giudici sarà addirittura peggiore: la condanna inflittagli per concorso in omicidio preterintenzionale sarà di anni undici, tre in più rispetto alla pena stabilita per Speziale. Già nei numeri, il processo scaturito in seguito alla morte dell’ispettore Raciti indurrebbe chiunque a pensare che, forse, c’è qualcosa che non va. Perché colui che sarebbe stato ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio avrebbe ottenuto una pena più lieve rispetto alla persona che lo avrebbe aiutato?
La domanda se fosse rivolta all’avvocato Giuseppe Lipera, il difensore di Antonino Speziale, avrebbe una sola risposta certa, pronunciata senza l’ombra del dubbio: la pena è sbagliata perché ad essere sbagliato è stato il processo. Lipera che ha difeso Speziale in tutti i gradi di giudizio, non ha mai dimostrato perplessità nel ribadire che la persona da lui difesa, Speziale appunto, non sia l’uccisore di Filippo Raciti. Anche dopo aver perso la battaglia processuale nei tre gradi di giudizio ha continuato a ribadire, in privato come in pubblico, che la storia non fosse affatto finita. Ha inoltrato una serie di ricorsi, presentati in ragione di nuovi elementi raccolti. Il 3 Marzo 2013 la madre di Antonino Speziale, la signora Rosa Lombardo , dopo aver denunziato per falsa testimonianza il poliziotto autista del discovery, nonché collega di Raciti, rivolge un appello che ha come obiettivo la Verità ed invita il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Catania a chiedere alla Corte di Appello di Messina la revisione della sentenza di condanna del figlio. Si chiama Salvatore Lazzaro e quella sera era alla guida del Discovery sul quale sedeva anche l’ispettore e che secondo la tesi sostenuta dai legali di Speziale sarebbe stato il mezzo con il quale Raciti sarebbe stato investito. Un incidente stradale. Questa sarebbe stata allora la causa della morte dell’ispettore. Niente a che vedere con le lesioni provocate dall’utilizzo del sotto lavello “ a mò di ariete”, così come invece hanno sostenuto per tutta la durata del processo, i membri della pubblica accusa che alla fine hanno però ottenuto il benestare dell’organo giudicante. E’ passata la tesi per cui l’arma del delitto fosse appunto l’oggetto dal peso di 5,8 kg, molto simile ad un sotto lavello, che secondo l’accusa, Speziale scagliò contro il corpo dell’ispettore Raciti.
Dunque il sotto lavello. Ma allora cosa c’entra il Discovery? C’entra dal momento in cui, il poliziotto che lo guidava la sera dei fatti, cioè Salvatore Lazzaro, ha dichiarato dinanzi ai suoi colleghi che lo hanno ascoltato in Questura la sera del 3 febbraio 2007 – dunque a poco più di 24 ore di distanza dai fatti – “ di aver sentito una botta, dopo aver fatto una retromarcia e visto l’ispettore Raciti portarsi le mani alla testa per essere soccorso e portato in ospedale”. Dichiarazioni che sono state messe a verbale dagli agenti della Questura di Catania e che secondo gli avvocati di Speziale costituirebbero niente altro che una confessione da parte di Lazzaro che avrebbe così ammesso di essere stato a lui ad “investire” l’ispettore provocando quelle lesioni che poi sarebbero risultate mortali. Lazzaro tuttavia chiamato a testimoniare anche in aula, dinanzi ai giudici, cambierà la versione precedente dicendo che l’ispettore c’era, ma era distante dieci metri e non si trovava invece, come dichiarato in Questura la sera del 3 febbraio 2007 ai colleghi che hanno messo tutto a verbale, “alla mia sinistra”.
Ma invece a dieci metri di distanza dal Discovery. Dunque a distanza. Troppo lontano per essere urtato dalla retromarcia di cui Lazzaro aveva parlato ai suoi colleghi. I giudici finiranno per credere a questa seconda versione, nonostante Lazzaro, anche in aula durante il processo, incalzato dall’avvocato Lipera che gli chiederà di confermare o meno la prima versione, dichiarerà che si, quello che aveva raccontato la sera del 3 febbraio 2007 a proposito della “botta” e della “retromarcia” fosse tutto vero. Eppure i giudici crederanno alla seconda versione, quella che servirà a Lazzaro per evitare di essere incriminato e passare così direttamente da testimone ad accusato.
La risposta l’avrebbero data i carabinieri scientifici del Ris di Parma, ai quali il Gip aveva chiesto una perizia tecnica sulla compatibilità del sotto lavello, ritenuto dall’accusa, essere stata l’arma del delitto. I Ris dopo aver riprodotto in laboratorio la dinamica dell’impatto, simulando artificialmente la scena dello scontro, e ripetendola ben 15 volte, utilizzando allo scopo un manichino dotato di sensori, e un sotto lavello uguale per dimensioni all’oggetto “originale”, si pronunceranno, pur mantenendo comunque una certa cautela, in favore dell’ “inidoneità” dell’oggetto ad essere l’arma che ha ucciso Filippo Raciti. Inizierà a questo punto una vera e propria guerra medico-legale tra le parti in causa che proseguirà anche nel corso del processo quando i giudici chiederanno un’altra perizia, incaricando questa volta i tecnici della Scientifica, ossia poliziotti e non più carabinieri. E non sarà un dettaglio dato che il contenuto di questa seconda perizia, verrà valutato dai giudici di Tribunale, Corte d’Appello e infine Cassazione, come idoneo a dare ragione all’accusa. Le cose, saranno andate proprio come stabilito dai pm. Sosteranno questo, nelle pagine di motivazioni alla sentenza, nonostante però, all’interno di esse, si fatichi e molto a leggere di una prova certa e concreta che dimostri, al di la di ogni ragionevole dubbio, la colpevolezza di Speziale e Micale.
La Corte di Appello di Messina ha però rigettato l’istanza nel maggio del 2013.
Il 24 aprile del 2015 anche la Cassazione di Roma ha rigettato la richiesta di revisione del processo.

IL MONDO ULTRAS ANDAVA CRIMINALIZZATO DA QUEL 2 FEBBRAIO QUALCUNO CI HA GUADAGNATO! VERGOGNA!
Gridiamo forte l’innocenza di Antonino Speziale.
Gli Ultras della Curva Est di Teramo lo fanno unendosi a quel coro di voci contro l’ennesimo caso d’ingiustizia, perpetrato nei confronti di un ragazzo, condannato a pagare qualcosa che non ha commesso.
Lo facciamo perché crediamo che, non solo Antonino Speziale sia innocente, ma siamo fermamente convinti che egli rappresenti il capro espiatorio per chi ha usato la sua vicenda per i propri scopi e per giustificare l’ennesimo pacchetto di leggi speciali, che hanno l’unico obiettivo di criminalizzare il movimento Ultras e favorire gli affari di chi ha trasformato quello che era una volta uno sport popolare in un carrozzone che qualcuno definisce la seconda industria di questo paese.
Chi sono, quindi, i veri criminali?